Dress code 7. Ferragosto senza eleganza
Il caldo sembra sollecitare la parte peggiore del genere umano, negli atteggiamenti, nei comportamenti, negli indumenti. Ho scrutato file di persone allineate alle fermate dell'autobus, passanti, passeggeri dei mezzi pubblici o in attesa nelle stazioni per capire quali sono i modi per contravvenire ai dress code. Le mie idee su eleganza e non eleganza le ho chiare, ma so che è pur sempre questione di gusti e disgusti, dunque meglio sistematizzare la questione per dirimerla.
Chi stabilisce lo statuto dell’eleganza? Roland Barthes suggerisce che una frase del tipo “une petite ganse fait l’élégance” (un piccolo cordoncino fa l'eleganza) dimostra quanto l’eleganza sia il risultato di un processo di attribuzione arbitraria di una qualità a un oggetto di moda. Sotto la guida di Barthes, notiamo che il verbo fare viene usato in modo metaforico poiché descrive il processo di trasformazione del total look in elegante che – almeno in quella stagione – avviene grazie all'intervento divino del cordoncino. Approfondendo ulteriormente la scelta terminologica, è evidente che ganse (significante) e l'elegance (significato) sono scelti per assonanza e per rimanere impressi nella memoria “come un piccolo proverbio prezioso”. Nella costruzione dell'eleganza gioca un ruolo importante petit/piccolo, aggettivo che fa pensare sia alle dimensioni minute del cordoncino, sia ai suoi attributi morali perché umile e simpatico. L’eleganza è questione di dettagli, tanto che nella stagione analizzata da Barthes il suo segno è il più modesto tra gli oggetti, alla portata di chiunque, specialmente della “signorina più gusto che soldi”.
Manca ancora una definizione di eleganza. Dal latino eligere, scegliere, l’eleganza è, come si legge in Treccani, “la qualità di una persona che ha insieme grazia e semplicità, e rivela cura e buongusto senza scadere in un’eccessiva ricercatezza [...]; il termine può anche essere riferito a qualcosa che è semplice e di buongusto”.
Trovo molto importante l’intenzionalità della scelta di essere eleganti nel vestire, perché presuppone un saper assemblare con armonia un total look che deve sembrare il più naturale possibile, non artificioso. Quest’ultima parola, infatti, è annoverata tra i contrari di elegante, insieme a “cattivo gusto, dozzinalità, sciatteria, trasandatezza, trascuratezza, goffaggine”. Negli antonimi troviamo tre derive del senso: il buono e cattivo gusto soggettivo, la sciatteria intersoggettiva sentenziata dallo sguardo dell’alterità, una mancanza di eleganza quasi inconsapevole, ai limiti del ridicolo, dovuta a scarsa conoscenza della moda e a un portamento rozzo. Il grado di intenzionalità è massimo con la scelta deliberata dettata dal gusto individuale, fino a essere minimo lasciando subentrare l'involontarietà della goffaggine. Il giudicato dell’alterità muta a seconda della cornice socioculturale, sorretta dal codice vestimentario corrente: qualche anno fa calzino bianco e Birkenstock, insieme o da soli, si consideravano crimini della Moda, oggi sono à la page. Questioni di gusto, che cambiano, evolvono, si integrano nel contesto. In effetti, almeno nella cornice interpretativa del senso comune, l’eleganza sembra sempre sfociare nel carnascialesco, nella mascherata, nel grottesco bachtiniano, ragion per cui, nonostante l’originalità dell’essere alla Moda possa costituire il fattore principale di distinzione e di stile, il “classico” resta comunque sinonimo di classe, non di obsoleto e sorpassato. Lo stile raffinato coincide con la cura nei dettagli, la ricerca dell’armonia tra gli elementi dell’outfit, come si confarebbe a una composizione artistica.
Possiamo affidarci alle tre derive di senso della non eleganza e al loro grado d’intenzionalità per cercare una sistematizzazione nella caoticità dell’abbigliamento estivo. Il modo d’espressione più moderato della non eleganza si sovrappone alla goffaggine dell’appropriazione culturale della turista, che, pensando di “mimetizzarsi nell’ambiente”, indossa buffe versioni di indumenti che rappresentano – a suo parere – la nazione visitata. E così in Italia possiamo imbatterci in wannabe Sofia Loren o Monica Bellucci, zoppicanti per via dei tacchi non adatti ai sanpietrini e ridotte al lumicino dalla scarsa potenza dell’aria condizionata. Le variazioni sul tema sono parecchie, in genere dipendono dal contenuto mediale che meglio ha esportato gli stereotipi cristallizzati di una certa italianità, le cui ere vestimentarie sono etichettabili, in ordine cronologico: Hollywood sul Tevere, Gomorra, Napoli di Elena Ferrante e accompagnatrici della seconda stagione di The White Lotus. Nell’alone semantico della goffaggine rientrano anche alcuni ensemble al limite del ridicolo, dove arzilli ottuagenari, non ancora informati dell’esistenza del fantasmino, passeggiano impettiti in pantaloncini e calza di filo di scozia ben tesa sui polpacci, per cui provo molta tenerezza a meno che non indossino gli zoccoli di legno.
La non eleganza più vistosa è quella del fuori stagione che, ciclicamente, viene addirittura sostenuta dalle riviste di moda, il cui ruolo è designare un oggetto di moda e determinare i suoi attributi per poter plasmare il suo statuto presso il senso comune. E così capita che gli stivali vengono decretati senza stagione da Vogue Italia in un articolo dove si legge “Tutti i prodotti sono selezionati in piena autonomia editoriale. Se acquisti uno di questi prodotti potremmo ricevere una commissione”. Non è una novità che le riviste di moda sopravvivono con inserzioni e collaborazioni, a noi interessa in quanto prova a sostegno della tesi sulla mancanza di autonomia dell’oggetto di Moda, che ha bisogno di essere argomentato dal sistema retorico. Siamo in pieno climate change con ondate di calore invalidanti; pertanto, gli stivali in estate non sono la scelta più sensata tra le possibili, soprattutto quelli texani per passeggiare in una località marittima. Un’amica buriata che ha vissuto in Siberia e ora risiede in Cina, mi ha chiesto perché tante italiane indossano gli stivali al mare, convinta dell’esistenza di ragioni culturali. Le ho risposto che spesso la moda foraggia il cattivo gusto, specialmente quella diffusa da influencer non abbastanza alfabetizzate. Da una copertura di troppo degli arti inferiori, volgiamo il nostro sguardo laterale – nel senso di side eye, occhiataccia – all’assenza di capi di abbigliamento, o alla loro dimensione ristretta che lascia strabordare carni sudate. Ciò che aderisce o si restringe eccessivamente rientra nel range dell’ostentazione del corpo, soprattutto se a emergere è ciò che da sotto passa a sopra, come la biancheria intima. Gli addomi scoperti e il ritorno della vita bassa si portano dietro persino gli elastici dei tanga, tirati in bella vista sui fianchi, neanche fosse passato uno dei bulli dei Simpson a fare una “smutandata” per dispetto. Il caldo porta a eliminare il superfluo (?), pensiamo al senza maglietta degli uomini accaldati con calzettoni di spugna fino al ginocchio, alle camicie sbottonate fino all’ombelico con catenina d’oro in vista, o agli hot pants di jeans sfrangiati che indossati diventano perizoma, esibiti nelle grandi occasioni mondane abbinati a sandali alla schiava con tacco a spillo. Peccato che, vestita in questo modo, una delle tentatrici di Temptation Island, acme del trash televisivo italiano, abbia dichiarato che le qualità di una donna sono la classe, l’eleganza e la femminilità. Se volete avere un’idea di non eleganza, Temptation Island è un buon caso di studio, “un formidabile affaccio sul Paese reale” come scritto da Stefano Cappellini su Repubblica. Stando a questo assunto il Paese reale, noto globalmente per la Moda, non brilla per buongusto. Di sicuro 3 milioni e mezzo di persone preferiscono i reality alla cultura, dato che ha portato alla cancellazione di Noos di Alberto Angela. Nonostante digerisca di buon grado le Kardashian, ancora non ho trovato il coraggio di vedere Temptation Island, dunque ho approfondito i modelli di non eleganza estiva affidandomi alla grande mole di discorsi accessori disseminati sui social media. Chiariamoci: dato che ne posseggo vari – un tantino più lunghi – non sono per vietare gli short di jeans, ma se l’eleganza sta nell’armonia delle parti del total look, va da sé che l’estremamente corto e aderente, va equilibrato con volumi e lunghezze più consistenti, e “sdrammatizzato” con calzature divertenti o sportive. Inoltre, il punto qui è l’eleganza, che, se estesa ai pantaloni di jeans abbinati a un blazer, lo stesso non vale per la sua riduzione sfrangiata che più si adatta al mattino, o per andare al mare. Qui si pone il problema dell’assenza di eleganza per essere fuori luogo e fuori tempo, indossando indumenti non adatti all’occasione d’uso e al momento della giornata. Durante una giornata in cui a Roma c’era allerta per temperature elevate, ho partecipato come componente togata al Graduation day del CoRiS Sapienza, dove insegno. La toga è di fresco-lana, mentre il tocco è di velluto pesante e l’ensemble è stato indossato per circa 150 minuti in un’aula sovraffollata senza aria condizionata dove ho rafforzato ancora di più la mia idea di fuori luogo. Rimarrà imperituro nella mia memoria il fidanzato della laureata che ambiva alla pedana su cui era disposta la sudata commissione, così da sfoggiare in posizione privilegiata i suoi infradito di gomma, abbinati a un freschissimo pantaloncino grigio di cotone mélange. La maglietta non la ricordo perché il tocco mi faceva sudare gli occhi. Pure in quell’occasione sono comparsi short inguinali e stivali, alle 15 di un venerdì di luglio. Se la legge viene infranta di continuo, perché porsi il problema di rispettare i codici vestimentari? Per decoro e rispetto dell’istituzione, entrambi ampiamente glissati dalla maggior parte dell’audience accaldata. Il decoro presuppone dignità nell’aspetto, nell’atteggiamento, tanto che il suo aggettivo decoroso è tra i sinonimi di eleganza. Il senso comune si preoccupa di continuo della dignità, che, nella visione del mondo possibile di Temptation Island, assume più i tratti della concezione meridionale di onore, atto delegato all’alterità. Nei restanti mondi possibili, la dignità è intesa come forma di rispetto per sé radicata in una solida etica morale individuale.
Certe non eleganze vanno evitate per onorarci e per elevare ancora di più la nostra condizione di nobiltà morale.
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