Conversazione con Francesco Carone ed Eugenia Vanni / Museo d’Inverno: fondato e diretto da artisti

13 Aprile 2017

La proliferazione di curatori avvenuta negli ultimi anni ha prodotto l’urgenza di indagare sempre più sulla necessità, legittimità e correttezza delle loro modalità operative. In realtà, ancor prima della nascita del cosiddetto curatore, quando cioè era ancora il critico militante a svolgere quella funzione, già si discuteva sul ruolo di colui il quale era chiamato a concepire una mostra e a scriverne, rispetto al ruolo creativo dell’artista. Si pensi a Carla Lonzi che dal 1963 iniziò a sostenere quanto postulerà meglio in seguito, ossia: “Quando mi sono trovata a fare la critica d’arte ho visto che era un mestiere fasullo” perché “l’artista è naturalmente critico, implicitamente critico, proprio per la sua struttura creativa”. Tant’è vero, che dalla fine dell’Ottocento in poi, numerosi artisti hanno dimostrato di poter essere critici e curatori non solo del proprio lavoro, ma anche di quello altrui: da Gustave Courbet che nel 1855 scelse polemicamente di curare una sua personale nello spazio da lui aperto denominato “Pavillon du Réalisme”; a Marcel Duchamp, a Andy Warhol, agli esponenti dell’International Critique – per citarne solo alcuni del XX secolo –, fino al più recente Maurizio Cattelan che nel 2014 ha curato la mostra Shit and Die (Torino, Palazzo Cavour) esponendo opere e oggetti di varia natura esclusivamente non suoi.

 

Nel corso del Novecento gli artisti hanno inoltre dato prova di poter essere fondatori e direttori di musei destinati a collezionare ed esporre opere e oggetti altrui: si pensi a Marcel Broodthaers che nel 1968 aprì un Museo d’Arte Moderna a Bruxelles e ne assunse il ruolo di direttore.

Solitamente, simili esperienze nascono dalla constatazione da parte degli artisti che il momento espositivo curato esternamente (cioè da un curatore, da un museo o da un’istituzione) è un dispositivo non neutrale rispetto all’originario significato dell’opera; è uno strumento di controllo e di disciplinamento del proprio lavoro. Da qui la necessità di assumersene la responsabilità e di criticare l’istituzione museale e curatoriale, le sue tradizionali modalità espositive, nonché il Potere a essa intrinseco. 

Da tali precursori si differenzia invece il Museo d’Inverno, fondato nel 2016 dagli artisti senesi Francesco Carone (1975) ed Eugenia Vanni (1980) nella loro città, in quanto non nasce con alcun intento di protesta nei confronti della “dittatura” del curatore, né dell’istituzione museale, né della tradizione.

 

 Ingresso del Museo d’Inverno. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.


L’operazione di Carone e Vanni, al contrario, è tesa a ricercare una collaborazione fra tutti gli “attori” del mondo dell’arte (artisti, grafici, curatori, ecc.) e a valorizzare il contesto cittadino da cui prende le mosse. Nasce dall’esigenza di creare a Siena un centro per l’arte contemporanea, tentando pertanto di strutturarne l’attività come quella di un qualsiasi spazio espositivo museale, dotandosi cioè di una programmazione di mostre temporanee e di una collezione permanente.

 

Ubicato sopra il bacino idrico trecentesco di Fonte Nuova, nella Contrada della Lupa (uno dei diciassette rioni della città), il Museo d’Inverno, con la sua programmazione stagionale (da qui il nome “d’Inverno”), invita di volta in volta un artista nazionale o internazionale a presentare le opere di altri autori presenti nella sua collezione personale, chiedendogli così di raccontare la propria storia attraverso i lavori da lui ricevuti in dono o frutto di scambi reciproci.

 

Fonte Nuova / Museo d’Inverno. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.


Ma non solo: con il progetto Diòspero, il Museo d’Inverno commissiona a ogni artista la progettazione di un dettaglio funzionale dei suoi spazi espositivi (la targa del museo, la maniglia della porta,…) che, assieme a quelli ideati dagli altri artisti invitati in precedenza, va a costituire la sua collezione permanente e site-specific.

Si tratta quindi di un museo che coniuga la dimensione internazionale dell’arte contemporanea a quella fortemente legata alla territorialità, ma al contempo fonde la dimensione intima di ciascuna collezione privata degli artisti con quella pubblica della relativa esposizione, così come la dimensione alternativa/creativa del no profit con quella maggiormente strutturata/museologica dell’istituzione pubblica. Realizzando solo due mostre l’anno, si propone inoltre di rallentare l’attuale modalità compulsiva della produzione di opere d’arte ed esposizioni, favorendo invece una profonda cura nel dettaglio da parte di chi le concepisce e una visione più attenta da parte di chi le fruisce. Potenzialmente aperto alla collaborazione con i più giovani, si pone anche quale unico spazio di ricerca sul contemporaneo all’interno di una città che da anni sembra aver represso qualsiasi seria vocazione nei confronti dell’arte più recente.

Di complessa definizione per le molteplici valenze e finalità qui accennate, il Museo d’Inverno è soprattutto una realtà che indaga sul concetto stesso di museo, cercando di definirsi e completarsi giorno dopo giorno trasformandosi da spazio espositivo per mostre temporanee a mostra permanente, da contenitore di collezioni altrui a collezione esso stesso.

 

Entrambi siete artisti: come, quando e perché vi siete avvicinati all’arte?

Eugenia Vanni: Da sempre ho avuto un contatto diretto con le tecniche di belle arti essendo già mio padre un artista. Il mio interesse per l’arte è quindi sorto spontaneamente e ha dettato anche i miei studi, prima all’Accademia di Belle Arti di Firenze e poi alla NABA di Milano per il Biennio specialistico. Nel periodo fra le due scuole, circa due anni, ho fatto esperienza nello studio di Luca Vitone.

Francesco Carone: A differenza di Eugenia la mia famiglia non ha mai avuto alcun rapporto con questa disciplina, eppure fin da piccolo ho sentito una spinta spontanea verso l’arte. Mi sono diplomato all’Istituto d’Arte a Siena, poi all’Accademia di Belle Arti a Firenze; ho iniziato da subito a collaborare con giovani gallerie italiane e contemporaneamente, per alcuni anni, ho affiancato i vari artisti di volta in volta invitati a esporre al Centro per l’Arte Contemporanea Palazzo delle Papesse di Siena. 

 

Quali sono le tematiche precipue delle vostre ricerche come artisti?

EV: Avendo avuto da sempre questa familiarità con le tecniche di belle arti, col tempo ho iniziato ad applicarle secondo la prassi tradizionale, ma per farle diventare il concetto stesso del mio lavoro. Le privo della loro funzione di “supporto per rappresentazione di soggetti” affinché rappresentino solo se stesse, evidenziandone le caratteristiche più legate al processo di esecuzione e alla loro storia. Questo accade con la pittura, l’incisione, l’affresco, la tempera all’uovo su tavola ecc ecc.

FC: A mio avviso, non è sufficiente il modo con cui normalmente guardiamo le cose: quando ho di fronte un soggetto, ad esempio tu che mi stai intervistando, il mio sguardo non include solo te ma anche lo scenario che ti si staglia dietro, nonché il panorama posto dietro le mie spalle riflesso nei tuoi occhi. E nel centro di quest’ultimo, l’immagine di me osservatore nei cui occhi ti stai riflettendo tu, le nuvole alle tue spalle, la rondine che sta passando adesso e... e così potrei continuare all’infinito. Cerco pertanto di produrre dispositivi volti a stimolare uno sguardo più approfondito, una visione laterale, talvolta inconscia, dove convivono tempi e piani differenti. E poi le stelle, le tempeste, l’eros e la storia dell’arte stessa. Ho spesso affermato che l’arte è forse l’unica disciplina che mi ha permesso di affrontare interessi tra loro eterogenei, tenendoli insieme attraverso la ricerca di un senso estetico e visionario. 

 

Come vi siete conosciuti e come è nata l’idea di aprire un museo?

EV: Ci conosciamo perché abbiamo condiviso alcune esperienze espositive e ovviamente perché entrambi siamo senesi. Nonostante la diversa tipologia del lavoro che affrontiamo, ad accomunarci è l’approccio alla sensibilità artistica, al modo di concepire il rapporto visivo con l’opera. Il Museo d’Inverno è nato dall’esigenza di applicare questo tipo di sensibilità basata sul concetto di dedizione e di rallentamento nella percezione: vorremmo indurre a soffermarsi, a vedere meglio ciò che è appena successo e che invece viene spesso dimenticato data la quantità di opere oggi prodotte ed esposte. Da qui la scelta di definirsi “museo”, cioè un luogo che implica una percezione diversa dell’arte rispetto a quella propria delle gallerie e degli artist run spaces volti invece a proporre sempre nuovi artisti e nuove opere. Il museo è uno spazio per rileggere in profondità (non senza un po' di sentimento) ciò che è avvenuto. O che sta avvenendo.

FC: Oltre a questo, ci siamo anche chiesti quale potesse essere per degli artisti il modo di sopravvivere senza per forza fuggire, in un luogo dove il contemporaneo sembra avere enormi difficoltà. La risposta che ci siamo dati è stata l’esser propositivi. Smettere cioè di lamentarsi e proporre, in primis per noi e quindi anche per gli altri, un’alternativa al nulla. L’unico ruolo sociale valido che un artista può avere senza snaturarsi, in una comunità in crisi, è quello di immaginare e offrire alternative. Ricordare che esistono sempre altre strade, altri modi per fare le cose. Basta sognarle e poi ovviamente percorrerle con illuminata dedizione. 

 

Quali sono stati i primi passi per realizzare il vostro progetto museale?

EV: Abbiamo chiesto e ottenuto dalla Contrada della Lupa, di poter utilizzare un suo spazio per una programmazione culturale. L’edificio che ospita il museo è Fonte Nuova: una fonte del 1300 che, essendo un monumento cittadino, risulta in linea con la nostra idea di valorizzare uno spazio storico della città, dando la possibilità di fruirlo in modo diverso. Grazie alla complicità della Contrada della Lupa siamo anche riusciti a rispondere alla necessità culturale e sociale di dare a Siena un museo d’arte contemporanea.

In cosa consiste l’attività del museo?

FC: Sebbene lo spazio sia limitato, cerchiamo di svolgere tutte le attività di prerogativa museale. La mission principale del museo è quella di invitare artisti italiani ed esteri a scegliere e presentare una o più opere dalle loro collezioni private, regalate o scambiate con altri artisti. Parallelamente chiediamo loro di analizzare lo spazio espositivo e progettare i particolari strutturali mancanti (o da sostituire) e necessari affinché diventi un vero e proprio museo (la targa d’ingresso, la project room, il bookshop, ecc). Chiediamo loro di ideare qualcosa in linea con la loro produzione ma al contempo funzionale per questo luogo. Poi noi produciamo i loro progetti e li installiamo permanentemente nello spazio. Così facendo il Museo d’Inverno ospita mostre temporanee ma ha anche la sua collezione permanente e in progress. La peculiarità rispetto ad ogni altro museo risiede nel fatto che quest’ultima non sia collocata in un settore separato rispetto alla mostra temporanea ma fusa nell’ambiente. Sono opere inesportabili, che hanno senso solo all’interno del nostro spazio essendo prodotte site specific e derivando da una sua mancanza. Un giorno, nella nostra fantasia, il museo anche senza la necessità di mostre temporanee, sarà pieno di opere e denso di segni ed oggetti d’arte originali, avendo tramutato il contenitore in contenuto. Una modalità di committenza questa, nuovissima seppur antichissima. 

 

Per il momento quali mostre avete organizzato e quali elementi strutturali avete realizzato?

EV: Il museo ha inaugurato con una mostra di Maurizio Nannucci che ha scelto di presentare solo le opere di James Lee Byars presenti nella sua collezione per ricordare la loro lunga amicizia e per Diòspero, ha progettato la targa esterna in ottone del museo, concependola come multiplo, in linea con la sua poetica.

 

Maurizio Nannucci featuring James lee Byars, veduta della mostra, 14 febbraio-31 marzo 2016. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.


La seconda mostra ha visto Miltos Manetas presentare la sua collezione electronicOrphanage costituita da opere internet-based di altri artisti.

 

Miltos Manetas electronicOrphanage@siena, veduta della mostra, 29 maggio-26 giugno 2016. Foto: Cinzia Jovine. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.

 

Per la nostra collezione permanente ha proposto una Project Room che, come quella di qualsiasi museo, esponesse nuove proposte e progetti speciali in parallelo alle mostre temporanee da noi organizzate. Non avendo però a disposizione ulteriori stanze, Manetas ha studiando una project room in realtà aumentata a cui si accede solo puntando uno smartphone su di una targhetta in alluminio fissata ad una parete del museo.

 

Progetto diòspero: project room in realtà aumentata, a cura di Miltos Manetas.
Juan Sebastián Peláez “PostProxemics / 2017”. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.


Di questo spazio fisico/virtuale, Miltos è rimasto tutt'ora il curatore, proponendoci ogni volta opere di giovani artisti. La terza mostra è stata invece l’occasione per Luca Pancrazzi di esporre le opere e i documenti relativi alle sue numerose collaborazioni.

 

Luca Pancrazzi Io. Noi. Voi…, veduta della mostra, 4 febbraio-25 marzo 2017. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.

 

 

Luca Pancrazzi Io. Noi. Voi…, veduta della mostra, 4 febbraio-25 marzo 2017. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.

 

Per l’occasione abbiamo restaurato una piccola botola preesistente sul pavimento del museo e che si apre su un vuoto tecnico sovrastante le volte a sesto acuto di Fonte Nuova. Luca Pancrazzi ha progettato il vetro di chiusura della botola facendovi satinare sopra la scritta “SPACE AVAILABLE” dichiarando così anche lo spazio sottostante come 'disponibile' per le mostre future. 

 

Qual è la prossima mostra prevista?

FC: Abbiamo invitato la coppia Piero Sartogo e Nathalie Grenon, con una mostra dedicata al loro rapporto con gli artisti. In particolar modo la mostra si focalizzerà sulla Chiesa del Santo Volto di Gesù in Roma, da loro progettata e inaugurata nel 2006. L’idea generale è di dare spazio a gran parte dei disegni e bozzetti degli artisti che vi hanno lavorato e rimasti nella collezione privata dei due architetti a testimonianza della loro amicizia e in maniera più ampia, del rapporto fra la committenza e l’arte. La curatela in questo caso è stata affidata eccezionalmente ad Achille Bonito Oliva e alla figlia Oliva Sartogo. 

 

Come è possibile visitare il museo e qual è la cadenza della vostra attività espositiva?

FC: Il museo è visitabile gratuitamente su appuntamento ed ogni visita è sempre guidata perché siamo noi ad aprire e ad accompagnare le persone nel percorso. Proponiamo circa due mostre l’anno, da gennaio a giugno. Limitare le mostre a due serve non solo ad aumentare la possibilità di fruizione da parte del pubblico, ma anche a rispondere e rendere concreta la nostra esigenza di seguire in maniera minuziosa ogni particolare.

 

Il banner esposto fuori dalla porta del museoè un esempio di questa vostra cura per ogni dettaglio…

 

Banner esterno cucito a mano dal laboratorio di sarte e bandieraie della Contrada delle Lupa. Photo courtesy: Museo d’Inveerno, Siena.


EV: Noi siamo una realtà no profit, ma non siamo un’esperienza giovanile. Nel senso che per noi “no profit” non significa avere un’estetica smart oppure trasandata ma anzi, vogliamo curare ciò che facciamo ancora più nel dettaglio rispetto a quanto farebbero le istituzioni finanziate. Abbiamo un fortissimo legame con il territorio che cerchiamo di non snaturare e di valorizzare tenendo sempre alta la qualità dei progetti. Un esempio sono, appunto i banner affissi per ogni mostra sulla facciata del museo. Invece di stamparli su pvc come si usa normalmente, li facciamo cucire e ricamare a mano dal Laboratorio di sarte e bandieraie della Contrada della Lupa, seguendo il progetto grafico dell’artista invitato. Applicando la stessa antica e lenta manualità che impiegano per ricamare le bandiere del Palio, queste sarte realizzano un’altra opera preziosa, ma contemporanea. Alla fine della mostra, invece di arrotolarli e lasciarli marcire in qualche magazzino come succede in tutti i musei, li conserviamo, diventando anch’essi parte della nostra collezione. 

 

Il Museo d’Inverno può dunque dirsi uno spazio dove passato, presente e futuro si fondono…

EV e FC: Azzardiamo dicendo (e sognando) che il Museo d’Inverno è un luogo dove finalmente la dimensione tradizionale si fonde e si confonde con quella completamente rivoluzionaria.

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