Un libro di Fabio Fiori / Perché amiamo le isole
“In antico la nesografia era la scienza che si occupava della descrizione delle isole, nesos in greco. Invece questa nesografia è uno zibaldone di frammenti insulari miei e altrui, su cui sono fortunatamente approdato, da cui sono ostinatamente ripartito. Un guazzabuglio mediterraneo, nell’accezione più culturale che geografica “.
Sono parole di Fabio Fiori quasi a conclusione del suo Isolario Italiano, storie viaggi e fantasie (Ediclclo editore, 2021). Viaggi da e per isole italiane: in barca a vela, in traghetto, a piedi e in bicicletta ma sempre da e per le isole e poi attraversandole, esplorandole, anche attraverso gli occhi e gli sguardi letterari di altri autori. “Frammenti letterari ma anche storici, geografici, artistici che hanno influenzato il mio sguardo da insulomane. Perché se il viaggio è esercizio di meticciato, le isole sono altari sincretici. Posso assicurare che, per paradosso, le isole sono crocicchi molto più affollati che la terraferma”.
Zibaldone o persino guazzabuglio mediterraneo definisce con modestia Fiori il suo libro. In realtà, partendo da un’osservazione di Franco Farinelli citata dall’autore, il quadro si fa ben più complesso e, per quanto vago, si fa più sicuro l’orizzonte, per adottare un’espressione della marineria di cui Fiori ha abituale frequentazione. “Prima dell’atlante c’erano soltanto gli isolari, libri composti da carte e descrizioni in cui tutto il globo, a partire dal Mediterraneo, veniva scomposto in isole, in qualcosa cioè che prima di contenere qualcosa, era, per definizione, contenuto in qualcos’altro, nel mare. Isole venivano considerate tutte le terre emerse, da quelle piccolissime fino a quelle grandissime di recente scoperta”. Cambia la prospettiva e un’isola diventa terra circondata dal mare, indipendentemente dalle sue dimensioni.
Mentre dall’epoca degli atlanti e di altra consapevolezza geografica in poi, un’isola è qualcosa che con un’esperienza fatta di sguardo, tempo, cammino possa essere definita come terra da conoscere senza apparente incertezza, “da abbracciare”.
Sono ad esempio le isole mediterranee nella loro totalità, sono le isole di Ulisse e dei suoi approdi, isole di storia e di mitologia.
A chi non ci abita o non naviga abitualmente per mare non capita frequentemente di pensare alle isole. Eppure è vero: una sorta di latente insulomania o attrazione per le isole esiste in tutti noi, così come è vero che le isole sono un frequente topos letterario. Dicevamo dell’Odissea e del peregrinare di Ulisse, ma si potrebbe citare l’isola del tesoro di Robert Luis Stevenson, l’isola che non c’è di Peter Pan e del suo autore J.M. Barrie, l’isola di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, l’isola di Il signore delle mosche di William Golding, o ancora l’isola di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Su un altro piano – ma credo dialogante con questo – mi viene in mente il desiderio e l’ossessione di acquistare un’isola, isolotto o atollo da parte di personaggi facoltosi: sorta di terra “propria”, in qualche modo certa e senza imprevisti possibili, nuovamente una terra da abbracciare (cos’altro era del resto Itaca oltre al regno di cui Odisseo era il re?).
Forse l’attrazione che le isole hanno in tutti noi è quella verso uno spazio controllato e isolato dove ritrovare una sorta di Eden, luogo dall’equilibrio perfetto con l’ambiente e con gli altri. In questo senso, per i magnati che acquistano un’isola sarebbe quasi un’inconsapevole ricerca profana dell’hortus conclusus dei monasteri medievali, “isola” dall’equilibrio perfetto con il proprio lavoro, con il benessere e la natura. Del resto, l’Eden dell’Antico Testamento non era forse una sorta di “isola” rispetto a tutta l’altra natura possibile, rispetto a tutta la natura che Dio avrebbe immaginato e l’uomo avrebbe abitato fuori dai cancelli del paradiso terrestre?
Continuando in questa suggestione, forse geograficamente l’isola rappresenta l’idea equivalente delle piccole comunità in cui ci muovevano a nostro agio prima della rivoluzione neolitica, forse l’insulomania latente in tutti noi è figlia di quei geni paleolitici che ancora ci dettano gran parte dei comportamenti, dei gusti, della salute e delle malattie...
E allora non è forse un caso che le pagine più riuscite del libro ci portino nelle Isole Elettridi, mitologiche strisce di sabbia al largo della foce del Po e che mutano di anno in anno a seconda del mare e delle correnti, oppure a isole piccolissime come Isola di San Pietro del deserto. “Laguna veneta, da Venezia quattro miglia in direzione nord-est”. Fu in quell’isolotto che nell’autunno del 1220 “Francesco in ritorno dalla Soria e dall’Egitto su nave veneziana approdò per ristorarsi, dopo aver sedato una tempesta”. Un’isola come condensato della spiritualità di molte di quelle mediterranee: “Sono arrivato sull’isola a vela, con la mia piccola barca di quattro metri, stringendo una brezza di scirocco che increspava appena le bassissime acque lagunari. Mai avevo messo la prima su un’isola conventuale, fortificata con i cipressi. Oltre cinquecento, in doppia fila ...passandosi da secoli il testimone e l’impegno della silenziosa guardia dell’isola...”. O ancora all’Isola d’Elba, nel Mediterraneo la più piccola delle isole grandi è la più grande fra le piccole. “Un’isola abbastanza piccola da vedere il mare stringerla dalla vetta del monte Capanne. Un’isola abbastanza grande per dimenticare il mare che la circoscrive...”
Qui, echi letterari (George Simenon) e storici, ancor di più in una piccola isola, possono avere la stessa realtà dei panorami: “In origine l’isola era un’isola silvestre ma poi quelle foreste andarono ad alimentare i primi forni metalliferi dell’uomo, talmente diffusi che l’isola fu per secoli un unicum nel Mediterraneo, tanto da chiamarsi Aethalia, l’insula dei fuochi che rosseggiavano”
È così di isola in isola, di approdo in approdo – Capri, Ponza, San Pietro, Capraia, Gallipoli, Procida, Stromboli, San Nicola – quello che emerge è una sorta di portolano casuale dove il caso non è una contraddizione alla guida che deve fare il portolano ma è “un caso” fatto di storia e mitologia, letteratura e botanica, geografia... il tutto per cercare e trovare qualcosa di quell’insulomania, di quell’attrazione per le isole che è dentro ognuno di noi.