Armando Testa a Venezia

16 Agosto 2024

“Anche sui muri scriviamo la storia del nostro costume”

C'è un manifesto che si è impresso nella mia memoria fin dal suo apparire, quello che pubblicizzava la bevanda alcoolica Punt e Mes. Affascinata come sono ed ero dalle immagini e dalle parole, a maggior ragione mi colpì l’immagine di quel manifesto portatore del significato delle parole che rappresenta: un punto (una sfera) e mezzo punto (mezza sfera). Punt e mes, è espressione del dialetto piemontese/lombardo che sta per un punto e mezzo. Non credo esista in italiano una parola che definisca la crasi, o meglio una simile identità semantica fra parola e immagine, tuttavia, in questo caso, sarebbe opportuno ci fosse. 

Potrebbe essere ikonlemma? Chissà?

Sono certa che a guidare il mio orientamento verso il mondo delle immagini mai disgiunto da quello della parola abbia contribuito in modo determinante l’ikonlemma del Punt e Mes, la pubblicità di quel liquore di casa Carpano che si chiama così perché contiene un punto di vermuth e mezzo di china.

A idearlo è stato il genio di Armando Testa (1917 - 1992), maestro della grafica pubblicitaria, tra i primi e tra i più grandi artisti a dispiegare la propria creatività sia nei manifesti cartacei che negli sketch filmati per il mitico Carosello televisivo.

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Armando Testa, manifesto per il Punt e Mes, 1960; manifesto per il Digestivo Antonetto, 1960.

“Povero ma moderno” era quel che Armando Testa diceva di sé stesso e nel 2009 questa sua definizione è diventata il titolo di un documentario su di lui, girato da Pappi Corsicato e premiato alla 66ª Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia.

L’artista, torinese di nascita, che, fin da ragazzo, era costretto a lavorare di giorno per indigenza familiare (lavorava in una tipografia), si è formato ai corsi serali della Scuola Tipografica e di Arti Affini Giuseppe Vigliardi-Paravia della sua città natale (insieme al suo quasi coetaneo Aldo Novarese, per il quale disegnerà la campagna pubblicitaria per il suo carattere Leggerissima e quella per il font Modulo; leggi qui su Doppiozero). Lì è stato allievo di Ezio D’Errico, direttore di quella scuola ed anche della rivista Graphicus, poliedrica figura di scrittore, giornalista e pittore astrattista, ma soprattutto cultore della modernità, del Futurismo e degli insegnamenti del Bauhaus, dal quale Armando apprenderà l’uso sapiente della parola e il minimalismo miesiano, quel less is more che caratterizzerà tutta la sua opera. Così ha dichiarato lui stesso: “Ho costruito una vita sulla frase di Mies van der Rohe: Nel meno c'è il più.

[…] La pittura fu il mio primo amore e lo rimase negli anni, ma la pubblicità finì per diventare il mio ambito. 

[…] La passione per le ultime tendenze nel campo della grafica, insieme a un amore istintivo per la pittura astratta, hanno plasmato la mia educazione; un tipo di educazione che non era basata sul razionale, su un approccio metodico, ma che proprio per questo mi ha permesso di avere oggi una libertà assoluta rispetto alla ‘cultura ufficiale”.

[…] Per molto tempo ho considerato l’astrattismo come un alibi: solo più tardi ho scoperto invece che ero astratto per istinto. […] Ciò che mi interessava di più era la sintesi.”

Un altro suo manifesto entrato nella storia della grafica per l’efficacia comunicativa è quello realizzato sempre nel 1960 per il Digestivo Antonetto, in cui egli ha fatto ricorso a una delle leggi della Gestalt, il contrasto figura/sfondo, per trasmettere il messaggio. Qui una figura d’uomo (un po’ ectoplasmatica), alla Jean Arp, si massaggia soddisfatta lo stomaco con due manone: finalmente ha digerito! Insieme al suo sorriso, sono queste mani il clou del messaggio comunicativo: una bianca e una nera esse sembrano pulsare, avanzano e retrocedono sullo sfondo bianco, davanti ai nostri occhi facendo dello stomaco su cui agiscono il protagonista della scena, sebbene dalla scena quest’ultimo sia escluso.

Un colpo da maestro che ha avuto un immediato e duraturo successo di pubblico.

E che dire dello sfondo bianco dei suoi manifesti? Anche questo è un altro suo colpo da maestro, un’altra delle sue piccole-grandi rivoluzioni. Dapprima criticato e osteggiato dai suoi illustri colleghi cartellonisti, alla fine lo sfondo bianco diventerà una scelta condivisa da tutti, quale segno di modernità, di nitore e di efficacia comunicativa.

Così ne ha scritto lui stesso: “Mi ripeto sempre che non ho uno stile particolare, ma riconosco che ci sono alcune caratteristiche predominanti nella mia opera. Quando cominciai, tutti usavano i fondi colorati, io per la prima volta introdussi lo sfondo bianco, in modo tale che l’immagine spiccasse maggiormente. Provenivo dalla tipografia, e ho sempre cercato di rimanere fedele alla sobrietà coloristica, affidando la bellezza della narrazione all’essenzialità del segno.”

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Caballero & Carmencita, 1965, per Lavazza (Caffè Paulista); Papalla, 1966, per Philco elettrodomestici.

La conoscenza che Armando Testa aveva del mondo futurista, appresa dal suo maestro e da lui poi elaborata in modo personalissimo, ne ha fatto anche un abile utilizzatore della parola, che egli ha messo in campo in molti degli slogan creati per i suoi sketch televisivi, subito entrati nel linguaggio comune, come: “E la pancia non c’è più!”, per l’olio Sasso, oppure “Chiamami Peroni, sarò la tua birra.” E “Mia moglie aspetta un Philco”. O ancora quello per la pubblicità del caffè Paulista di Lavazza, con la bella Carmencita, e l’invito, un po’ alla Ardengo Soffici, che le rivolge il Caballero misterioso: “Bambina, sei già mia, chiudi il gas e vieni via.”

E chi se li scorda più?

Caballero e Carmencita sono coni” scrive De Angelis Testa “ed è stato il primo ad animarli in stop motion, come nei cartoni animati, fotogramma per fotogramma. Era la prima volta che venivano proposti e realizzati dei personaggi tridimensionali così essenziali: sparavano, ma erano senza braccia e senza gambe. Erano il ritmo dell'azione, l'umorismo della situazione e la fantasia del pubblico a completarli. Così Papalla una sfera che compie ancor meno movimenti, ma che agisce come un essere umano.”

Ma Armando Testa ha creato anche manifesti non a destino commerciale, culturali, sportivi e di solidarietà. Così ne ha scritto: 

Il manifesto culturale gode sicuramente di una maggiore libertà espressiva e stilistica, ma non per questo è più facile. Anzi, realizzarne uno bello, impattante e coinvolgente è difficilissimo, perché possono racchiudere messaggi pittorici d’avanguardia, ma nello stesso tempo devono informare il pubblico. 

Anche sui muri scriviamo la storia del nostro costume!

[…] Nel 1958 venne indetto un concorso nazionale per il manifesto delle Olimpiadi di Roma al quale parteciparono più di mille concorrenti, tra cui il sottoscritto. La mia idea era questa: rappresentare il corridore olimpico con il corpo formato dal Colosseo, sironiano nella pennellata e rigorosamente contenuto nella sua forma geometrica. Lo vinsi, ma in Parlamento qualcuno disse che quel manifesto era troppo moderno; occorreva dare un maggiore senso di classicità. Venne indetto un nuovo concorso tra i dieci migliori grafici italiani di quel tempo. Lo vinsi anche quella volta con un manifesto in cui veniva rappresentato un capitello che divenne l’immagine ufficiale delle Olimpiadi.”

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Armando Testa, cartoline augurali, anni settanta/ottanta; Sedia con matita, 1972.

Gli anni settanta poi sono quelli in cui Armando Testa sembra aver fatto propri gli insegnamenti e le provocazioni dada insieme alla lezione della Pop Art. Ne sono esempio i suoi oggetti di design e alcuni manifesti, come quello della Poltrona Prosciutto (1978) ed altri in cui trasforma alimenti comuni quali patate, olive, peperoncini, salumi, ed altri, in opere d'arte visiva, un po’ alla Claes Oldenburg. 

“Nel 1968, mentre nelle piazze crollavano i miti della tradizione, una vecchia cartolina speditami da un militare fu per me un’occasione rivoluzionaria. Da allora, ogni anno, la cartolina augurale è diventata un momento di divertimento e di ricerca sul banale quotidiano dove due olive diventano una coppia di amanti e dove un pezzo di parmigiano ricorda i faraglioni di Capri. […]

È stata una specie di rivolta personale. Il creare opere non destinate ai muri né ai giornali. Nel mio mestiere devo esaltare quotidianamente il cibo tra posate preziose, bocche avide, piatti scintillanti, ma a volte provo il desiderio di mollare tutto, stringere la mano al kitsch e interpretare spaghetti, frutta, prosciutto e uova in liberi e voluttuosi accostamenti e fare dell’arte visiva in cucina.”

È da queste sue ricerche che discende l’idea della pubblicità di Esselunga, realizzata dal suo studio (diretto da suo figlio Marco) nel 2001, con frutta, verdura ed altri alimenti. Anche qui, come tipico dei messaggi di Armando Testa, le immagini nascono anche dalle parole e dai loro giochi possibili e allora ecco: John Lemon, Piero della Franpesca; Ufficiale Gentiluovo; Rocco e i suoi tortelli; Al Cacone; Fico della Mirandola; Insalattila; Aglio e Olio; Bufala Bill; Cappelletto Rosso; Alavino; Tutan Panem, eccetera.

Ci sono poi i suoi oggetti di design. 

Nel periodo in cui Testa ha progettato la poltrona Prosciutto, la sedia con matita, la sedia antropomorfa, la Lampadina limone, il Bruco allarmato, il tavolo con scarpine (con la tovaglia fatta di mortadella) ed altri oggetti, si era in pieno clima Radical, corrente a cui gli stessi oggetti potrebbero appartenere di diritto, sebbene il loro autore non abbia mai avuto alcun contatto con i gruppi che teorizzavano e praticavano questa forma d’arte, non con Archizoom né con Superstudio; non con Alchimia né con Mendini (anche se con lui risulta evidente la sintonia: stesso amore per il banale, per il kitsch, per la poetica dell’assurdo, eccetera); non con Sottsass e Memphis. 

Eppure quel clima Armando Testa lo aveva recepito. Tutti i geni respirano l’air du temps e lui non è stato da meno.

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Scorcio della mostra a Ca’ Pesaro e copertina del catalogo.

Questo e molto altro ancora si può ammirare nella mostra a lui dedicata, visitabile fino al 15 settembre presso la Galleria Internazionale di Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Curata da Gemma De Angelis Testa (moglie dell’artista e responsabile della sua collezione), Tim Marlow (direttore del Design Museum di Londra) e Elisabetta Barisoni (responsabile di Ca’ Pesaro), è stata organizzata in collaborazione con Galleria Continua e TestaperTesta (nata nel 2010 per valorizzare l’opera di Armando Testa). Allestimento di Francesca Boni.

Il catalogo bilingue (€ 36,00; pp. 224) è di Silvana Editoriale, con il progetto grafico di Annamaria Ardizzi.

Così Gemma De Angelis Testa: “Sono sicura che Armando sorriderebbe a sapere che Venezia, luogo magico dove ci siamo incontrati e innamorati, è diventata la casa di parte della mia collezione – donata a Ca' Pesaro nel 2022, e grazie alla quale ho ricevuto il Leone d'Oro di cui sono molto orgogliosa – e della mostra che vede riunite, sempre nella stessa sede, una significativa selezione delle sue opere, alcune delle quali mai esposte prima d'ora.”

Vorrei concludere questo omaggio ad uno dei più grandi maestri della grafica italiana, citando di nuovo le sue parole a proposito del proprio “stile”:

Vi confesso che io non ho mai voluto avere un segno subito riconoscibile, ho affrontato il manifesto usando indifferentemente il pennello, la fotografia o il carattere tipografico; ma la sintesi, l’uso dei fondi bianchi e di colori primari, la centralità dell’immagine hanno finito per diventare il mio stile. Ad esempio, per il digestivo Antonetto, ho realizzato un marchio sintetico che gioca sul contrasto tra positivo e negativo; per la birra Peroni, così come per Stilla, Beatrix e Sanpellegrino ho giocato sulla centralità dell’immagine nascondendo però in ogni manifesto una parte del corpo, giocando sul mistero e stimolando così l’immaginazione del pubblico. Addirittura per Beatrix, nota marca di costumi da bagno, i consumatori strapparono il manifesto lì dove il corpo della modella veniva coperto. Meno divertente invece fu la storia legata al manifesto Stilla: volevo raggiungere un maggior effetto verità, e decisi di non usare trucchi e di immergere veramente la modella nell’acqua. Organizzammo quindi un set all'interno dell'agenzia, ma con esiti disastrosi: l’appartamento di sotto si allagò varie volte, e la modella rischiò di affogare. Decisi di tornare alle foto truccate: mare da una parte, donna dall'altra. In un pomeriggio il manifesto Stilla fu pronto.

Se è vero, come è vero, che la storia del nostro costume si legge anche sui muri, Armando Testa vi ha scritto pagine indimenticabili che si sono fissate in modo indelebile nella memoria collettiva e i suoi jeux de mots sono ormai parte del lessico quotidiano, anche se molti ignorano che a inventarli sia stato lui.

Tanto di cappello (per giunta a lui i cappelli piacevano assai).

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