Tra realtà e finzione / Zelensky, servitore del popolo?
In queste settimane sta andando in onda, in una modalità sperimentale e inedita, una nuova serie di fantascienza bellica. Non ha titolo (ma potrebbe benissimo essere “Orrore alle porte dell’Europa”) ed è trasmessa in chiaro sulle reti televisive di tutto il mondo. In uno scenario distopico dominato dal conflitto tra blocco occidentale e blocco orientale e dalle reciproche minacce di attacco nucleare, la Federazione Russa invade l’Ucraina, ex repubblica dell’URSS, bombardando le principali città del paese e martoriando la popolazione. Puntata dopo puntata lo spettatore assiste a terribili devastazioni, vengono alla luce atroci massacri perpetrati sui civili, mentre milioni di profughi si accalcano ai confini occidentali del paese in cerca di salvezza. L’anacronismo storico e il surrealismo della trama sono evidenti, ma l’immaginazione dei creatori della serie non fa sconti: la messa in scena è cruda ed estremamente realistica, le immagini delle atrocità sono cruente, la distruzione delle città e la disperazione della popolazione sono mostrate in tutta la loro drammatica violenza. La serie dovrebbe essere vietata ai minori ed è assolutamente sconsigliata a un pubblico sensibile.
Il protagonista della serie è il presidente dell’Ucraina, tale Volodymyr Zelensky, interpretato dal noto attore comico (ma qui in veste pienamente drammatica) Vasily Petrovych Goloborodko. La cosa interessante, se non incredibile, è che quest’ultimo, prima di intraprendere la carriera di attore, era stato realmente presidente dell’Ucraina e ancor più che era arrivato alla presidenza senza alcuna esperienza politica pregressa. Goloborodko era infatti un insegnante di storia in un modesto liceo nella periferia di Kiev. Un giorno, a margine di una lezione, si era sfogato inveendo contro la corruzione dilagante nella classe politica, senza sapere di essere filmato da un suo studente. Il video era diventato virale su YouTube e aveva smosso a tal punto la coscienza del paese da catapultarlo dalla cattedra di una scuola alla scrivania presidenziale. Nella serie Zelensky combatte strenuamente la sua battaglia mostrando temerarietà e spiccate doti comunicative.
Proprio qui forse l’elemento meno realistico e convincente della sceneggiatura: trincerato in un bunker nei sotterranei del palazzo presidenziale, abbigliato in tenuta militare, Zelensky continua a comunicare all’esterno attraverso i social network e interviene in videoconferenza nei parlamenti di tutto il mondo occidentale, che fanno a gara per ospitarlo e gli riservano ogni volta una standing ovation, inviano al suo esercito armi per contrastare l’avanzata del nemico, comminano pesanti sanzioni economiche all’aggressore, accelerano la procedura di ingresso del paese nell’Unione Europea. Insomma, se non è fantascienza quasi ci siamo. Si potrebbe forse definirla un mokumentary catastrofico, o una sorta di reality show politico a sfondo bellico. Tant’è che è la serie più vista dell’anno e ha cambiato per sempre la storia della televisione.
Un momento, chiedo scusa. Devo aver fatto confusione, forse ho invertito la realtà e la finzione. Credo che Zelensky sia il reale presidente, con un passato da attore in una serie di satira politica in cui interpreta Goloborodko, che invece è un personaggio di finzione che da insegnante di storia diventa presidente. Sono incappato in un’imbarazzante gaffe. Certamente mi ha tratto in inganno il fatto che la storia del professorino che viene eletto grazie a un video contro la degenerazione del potere è molto meno campata per aria di quella di un attore comico che diventa presidente sull’onda del successo di una serie tv in cui interpreta un insegnante che diventa presidente e poi si trova a fronteggiare un’aggressione militare districandosi tra incontri diplomatici a distanza, ospitando pericolose e improbabili visite di capi di stato in una Kiev sotto assedio, raccontando la guerra in prima persona sui propri canali social da un bunker, da dove chiede armi e sanzioni contro la Russia pungolando l’immobilismo della Nato.
È vero, la storia non è poi così originale, anche in Italia abbiamo avuto un caso e l’altro fusi assieme ed è accaduto di tutto: un comico specializzato in satira politica fonda un partito dichiaratamente anti-casta, vince le elezioni, ottiene la maggioranza in parlamento e fa nominare presidente del consiglio uno sconosciuto professore universitario che deve vedersela con ponti autostradali che si sgretolano sotto la pioggia e una pandemia che lo costringe a rinchiudere la popolazione nelle proprie case per settimane. Ma gli sceneggiatori immaginari di “Orrore alle porte dell’Europa” sono decisamente in gamba e rendono gli eventi talmente inverosimili, inaspettati e spettacolari da non poter essere considerati reali. Mi sembra insomma che il baratro su cui il mondo ultimamente è tornato ad affacciarsi abbia reso la finzione più credibile della realtà e la realtà più spettacolare della finzione.
Ecco, ora ricordo il titolo della serie: Servitore del popolo (Sluha Narodu è il titolo originale). La si può vedere in queste settimane in chiaro su La7. Prodotta e distribuita da Kvartal 95 Studio, casa di produzione creata dallo stesso Zelensky, la serie non solo è interpretata, ma anche scritta da quest’ultimo. Sluha Narodu peraltro è il nome dato da Zelensky al movimento politico fondato nel 2018, a riprova dell’assoluta continuità tra il discorso populista ordito nella fiction e il reale percorso politico dell’ex attore: la serie di fatto ha funzionato dapprima come scalpello sul sentimento nazionale (in chiave sia anti-casta sia anti-russa), poi da puntello in una campagna elettorale che oggi ci appare sfrontata e geniale. Provo a ricostruire una cronologia: Sluha Narodu andava in onda in Ucraina a partire dal 2015 con una prima stagione costituita da 24 episodi. Le manifestazioni popolari contro la virata anti-europeista del governo ucraino erano iniziate a fine 2013 e poi culminate all’inizio del 2014 con una vera e propria rivoluzione di piazza (“Euromaidan”), sedata nella violenza ma conclusa con la cacciata del presidente filo-russo Viktor Janukovyč. Seguiva una presidenza transitoria durante la quale si era originata la crisi che aveva portato all’annessione della Crimea alla Russia e alla guerra contro i separatisti del Donbass.
Pochi mesi dopo veniva eletto presidente Petro Porošenko, oligarca filo-occidentale in salsa ucraina, incapace di arginare la corruzione imperante e di attenuare le tendenze separatiste nel Sudest. Nel 2016 veniva prodotto anche un adattamento cinematografico di Sluha Narodu, seguito dal 2018 dalla seconda stagione della serie (altri 24 episodi), in concomitanza, come ho detto, alla fondazione dell’omonimo partito politico. Dopo un anno esatto, a poche settimane dalla messa in onda di altri 3 episodi (terza stagione), Zelensky veniva eletto presidente.
La tempistica parla chiaro. Non sto insinuando che la serie abbia comportamentisticamente indotto gli elettori a votare per il candidato anti-establishment sfruttando gli effetti condizionanti della televisione. Sottolineo piuttosto come la satira abbia svolto egregiamente il proprio lavoro nel mettere in risalto – muovendosi come per definizione tra ironia, scherno e invettiva sferzante – i difetti più radicati (e scontati) della politica, almeno nel sentimento collettivo ucraino: i politici che ci hanno governato finora sono tutti corrotti arrivisti nepotisti filorussi piove governo ladro! Goloborodko però non è un uomo della folla, ma un professore colto e appassionato, dalle spiccate doti umane, amato dai suoi studenti (sono loro in fondo a spingerlo a candidarsi). La sua sfuriata contro il potere paludato e i privilegi non è un’ottusa opposizione di principio, ma l’espressione di un’insoddisfazione autentica. La sua onestà non è di facciata, ma una convinzione radicata e tuttavia non assorbita dall’ambiente, dato che emerge in contrasto con la pochezza, anche morale, della sua famiglia (che tenterà, maldestramente, di approfittare del suo nuovo ruolo per riscattarsi dalla mediocrità economica e sociale).
Egli dunque non solo intercetta la frustrazione del popolo, ma merita ciò che ottiene perché è integro e genuinamente convinto che la sola strada per ripulire il marciume sia restare ciò che si è. Ebbene, poiché Zelensky non è solo l’attore ma anche il creatore e lo scrittore del suo personaggio, egli è totalmente compenetrato a esso: gli elettori hanno capito che non c’è differenza tra Goloborodko e Zelensky – l’uno è l’altro, l’altro è l’uno. Anche in un quadro di finzione la satira non rescinde il legame con la realtà, anzi la denuda e la dileggia. La finzione non è liberamente ispirata alla realtà: è la realtà. Una realtà, anche psicologica, in cui gli ucraini si ritrovano e riconoscono, soprattutto quando l’ironia prende la forma di frecciatine sarcastiche contro Putin (una per tutte, Goloborodko che grida “Putin è stato deposto” per zittire i deputati che litigano in parlamento. Ve sono molte altre, probabilmente più di quelle che lo spettatore italiano è in grado di cogliere).
Dunque, dato che la serie è una rappresentazione caricaturale ma rivelatrice della situazione reale, si comprende meglio la scelta del popolo di trasformare un presidente per finta nel loro servitore. Ma è la Storia a dargli ragione («Un insegnante di storia che entra nella Storia», come profetizza Goloborodko). Zelensky pensa di essere in un film e fa cose improbabili: non fugge oltreconfine quando c’è da filarsela, con il suo costume color kaki, rende umile il proprio ruolo di comandante in capo, fa citizen journalism dal proprio profilo Telegram, scrive e interpreta discorsi accorati e toccanti entrando in empatia con popoli e governanti di paesi che prendono a cuore la causa ucraina. Ma è tutto vero e la sua forza comunicativa contribuisce senza dubbio alla resistenza e al contrattacco militare e psicologico. L’ascendenza spettacolare di Zelensky potrebbe persino aver contribuito a ingannare Putin sulle sue capacità e la sua leadership (prenderò Kiev in poche ore, potrà mai tenermi testa uno che ha vinto Ballando con le stelle in Ucraina?). La finzione è parte della realtà almeno quanto la realtà lo è della finzione.
Leggiamo l’eroismo impavido di Zelensky in continuità con l’eroismo incorrotto di Goloborodko, come il riscatto di un paese che, attraverso la trasmutazione della finzione in realtà, ha trasformato una disaffezione covata per anni nell’adesione a una visione del mondo di cui vuol fare pienamente parte. Dietro al proprio populismo buonista Servitore del popolo ci aiuta a comprendere come un’analessi questo percorso, soprattutto perché autorappresenta la sua evoluzione. Zelensky non era famoso come attore in una fiction qualsiasi, ma come interprete di un uomo qualunque che usa il potere cadutogli fra le braccia in modo etico e integerrimo anziché abusarne, soddisfacendo la sete di giustizia dei cittadini, combattendo i soprusi e i privilegi della politica e rendendo concreti ideali totalmente utopici, soprattutto perché egli è parte del popolo e continua a esserlo (Goloborodko rinuncia alla scorta, resta a vivere con la sua famiglia, va a lavoro con i mezzi pubblici…).
La serie aveva già rappresentato anche la propria influenza sull’opinione pubblica e sull’orientamento degli elettori, ponendo un video virale all’origine dell’avventura politica di Goloborodko. Inoltre anche la (con)fusione tra realtà e fantasia è interna al racconto: Goloborodko si imbatte regolarmente in sogni e allucinazioni in cui incontra personaggi storici che fungono da suoi numi tutelari. Plutarco e Lincoln gli dispensano consigli sulla democrazia, Che Guevara lo sprona a rivoluzionare il governo, Giulio Cesare lo mette in guardia sulle pugnalate alle spalle, Al Capone gli ricorda che lo stato non deve aver paura neppure dei peggiori criminali, Ivan il Terribile lo provoca ricordandogli che ucraini e russi hanno lo stesso sangue – altra battuta che oggi ci appare persino macabra... Vi sono altre parentesi allucinatorie, inizialmente spacciate per eventi effettivi, che consentono al personaggio di soddisfare anche certe pulsioni violente degli spettatori-elettori: dure sfuriate sui ministri o persino una smitragliata sui parlamentari.
Servitore del popolo è una sit-com dalla qualità nettamente inferiore rispetto agli standard a cui la serialità televisiva americana ci ha ormai abituato da almeno quindici anni, con gag piuttosto banali e toni volutamente surreali. Tuttavia quella di un uomo qualunque che diventa presidente e ristabilisce il Bene contro la corruzione morale non è certo un’invenzione originale, anzi un topos consolidato nello storytelling audiovisivo. Il modello di riferimento è probabilmente il film Dave – Presidente per un giorno di Gary Ross (sceneggiatura) e Ivan Reitman (regia), commedia uscita nel 1993, agli albori della presidenza Clinton (e dunque anti-Bush padre). Il presidente degli Stati Uniti d’America ha un ictus e il suo staff decide di sostituirlo con un sosia (Kevin Kline), che è identico a lui fisicamente ma umanamente agli antipodi e che al contrario dell’originale corrotto e insensibile si impegna in una revisione di spesa per finanziare una legge in favore dei senzatetto e riesce infine a cedere il potere a un vicepresidente dalle umili origini e che crede davvero nella politica come servizio.
In L’uomo dell’anno di Barry Lenvinson (2006, nel pieno della presidenza Bush figlio) è proprio un comico televisivo (Robin Williams) a diventare presidente per sbaglio sull’onda del successo televisivo, dandogli l’opportunità di criticare l’artefatto sensazionalismo che domina la corsa al potere. Nella serie Designated Survivor creata da David Guggenheim per ABC e Netflix (tre stagioni dal 2016-2019, quasi in contemporanea con Sluha Narodu e in corrispondenza della presidenza Trump), Tom Kirkman (Kiefer Sutherland) passa dal ruolo di ministro della casa e dello sviluppo urbano direttamente alla presidenza degli USA perché il presidente e tutta la linea di successione restano uccisi in un attentato dinamitardo. Considerato inadeguato e politicamente inconsistente, Kirkman è però un uomo dai solidi valori morali e ce la mette tutta per guadagnare la fiducia della nazione, fare qualcosa di buono e nel frattempo indagare sul complotto dietro all’attentato.
C’è persino un esempio italiano: Benvenuto Presidente! (2013), in cui un Giuseppe Garibaldi qualsiasi (Claudio Bisio) viene eletto per pura omonimia presidente della Repubblica e, nonostante la sua inadeguatezza, dà lezioni di onestà e umanità contro le macchinazioni del potere. Sono solo alcuni esempi, tratti dall’ampia storia della rappresentazione del presidente nel cinema, in particolare americano, che rivelano l’incidenza del sentimentalismo buonista, del potere dei media e della paranoia complottista sulle elezioni presidenziali, ma anche della tendenza al rifiuto radicale della politica tradizionale che è alla base di inaspettate sorprese come l’elezione di Zelensky. Tutti i personaggi di questi film fingono di essere il presidente o lo diventano per sbaglio, e tuttavia non sono degli impostori o degli usurpatori e impongono il proprio orientamento morale al ruolo, ripristinandone la dignità. È forse questo il passaggio che caratterizza la trasformazione di un presidente ucraino nella finzione in un presidente ucraino nella realtà: Zelensky non fa finta, perché neppure Goloborodko lo faceva.
Certo l’interesse dell’editoria televisiva di molti paesi per Sluha Narodu – Italia compresa – non può essere attribuito solo a una questione culturale e informativa. Oltre l’attenzione per le vicende dell’Ucraina e la necessità di risalire alle ragioni di questa terribile guerra, la sovrapposizione del racconto seriale di Servitore del popolo al racconto seriale del conflitto produce una stridente dissonanza. Da un lato ci accorgiamo di quanto, nel racconto mediale degli eventi, realtà e finzione siano reciprocamente embricate, ma non senza pericoli: se la finzione può contribuire a spiegare la realtà, quest’ultima rischia di apparirne il sequel, uno spin-off, la nuova stagione della serie. Dall’altro emerge una morbosa attenzione (con risvolti commerciali) attorno a Zelensky, divenuto personaggio di culto proprio in virtù della sua “doppia vita” e dell’occasione che la guerra gli ha concesso per passare alla Storia. Forse dovrebbe inquietarci il fatto che per ridurre l’incomprensibilità dell’orrore umano accettiamo che la narrazione della guerra si trasformi in intrattenimento e ad esso si contamini. Ma è fiction: servitrice del popolo.