Cannabis sativa / Maria in giardino?
Lo so, vi piace la Maria (Cannabis sativa) e vi piacerebbe tenerla in giardino, anche solo per ragioni ornamentali, per quelle foglie diventate iconiche del ribellismo anni sessanta e settanta. Ora si può, purché siano piante con innocui livelli di Thc (tetraidrocannabinolo) e acquistate da coltivatori in regola con le disposizioni di legge. Tuttavia è fenomeno di nicchia, potreste trovarla in quel di Mantova, nei vivai di Canneto sull’Oglio (e ci mancherebbe! nomen omen), ma non figura rubricata dai cataloghi dei vivaisti di erbacee più rinomati.
Destino singolare quello della canapa. Prima del proibizionismo, l’Italia era seconda solo alla Russia nella coltivazione, che alimentava le imprese tessili e aveva le sue capitali produttive in Napoli e Bologna (le famose tele di Romagna con le tradizionali stampe color ruggine). C’è chi, favolosamente, vi riconduce persino l’etimo del toponimo Canavese.
Certo è che anche in quest’area di Piemonte, tra la Serra d’Ivrea e la Dora, la canapa era coltura antica: sul castello di Masino ancora svetta lo stemma della potente famiglia Valperga, «fasciato di oro e di rosso, alla pianta di canapa d’argento sradicata, attraversante».
Ci riporta a quei tempi di fatiche contadine e artigianali Giovanni Pascoli, che nello struggente poemetto funebre, Il soldato di San Piero in Campo (1899), dedica una sezione sulle fasi della lavorazione di questa fibra vegetale. L’anima del giovane soldato (Aladino Mariotti, morto suicida prima d’essere congedato dal servizio militare) torna al suo paese per essere risarcita del rituale mancato, e il poeta la restituisce all’ambiente d’origine con un’ultima rievocazione della vita immersa nel ciclo naturale, scandita dai lavori stagionali individuati con provata perizia tecnico-lessicale:
E Pensa … Dormi… È limpida la sera:
si vede sempre, e non s’accende il lume.
C’è nelle selve fumo qua, che annera,
là, che biancheggia: bruciano il pattume:
presto si coglie. E l’uva ingrossa, e invaia
i chicchi già. La canapa è nel fiume.
È già stesa a capretta su la ghiaia,
via via: dura la tiglia, alta la canna.
Ecco che già si mazzola in qualche aia.
E se, nonostante un certo revival, la tela di canapa rimane articolo commerciale limitato, per il giardino abbiamo una soluzione facile, alla portata di tutti, che ci consente di non esibire certificati e non inciampare in noie legislative. Allo stato spontaneo c’è l’Eupatorium cannabinum che si può trovare proprio alle annuali esposizioni del verde del Castello di Masino. Il nome importante, di origine greca («nato da padre nobile»), viene dal re del Ponto Mitridate Eupatorio che, secondo la leggenda, ne avrebbe per primo scoperto le numerose proprietà medicinali (antivirali, diuretiche e depurative). Benché appartenga alla famiglia delle Asteraceae, declina nell’aggettivazione (e nel caule) la sua somiglianza con la Cannabis sativa (fam. Cannabaceae). Se avete un fazzoletto di terra a mezz’ombra, fresca e ricca, lasciatelo a quest’erbacea perenne dai fusti eretti, alti circa un metro, che s’aprono a corimbi sulla sommità. Porta belle foglie opposte o alterne, lanceolate quelle basali, divise in tre lamine dal margine seghettato-dentato quelle superiori più prossime ai corimbi di piccoli fiori tubolari, rosei e dal lungo stilo bianco. Dalla fine di luglio a ottobre si esprime in un prolungato sboccio attira farfalle, che può colorarsi di purpureo (E. maculatum Red Dwarf), d’azzurro (E. coelestinum), o di bianco, esaltato per sovrappiù da un magnifico fogliame bruno (E. rugosum rubrum).
Insomma, una bella alternativa alla Maria: non ci farà volare né viaggiare in mondi paralleli, ma se non altro, fossimo ai tempi di Dante, ci risparmierebbe l’accusa di essere alle dipendenze del Veglio della Montagna che, nel suo giardino di delizie, inebriava i suoi adepti con l’hashish (da qui hashishin, assassino: «lo perfido assessin», Inf., XIX, 50).