Irène Némirovsky, Tempesta in giugno
Che cosa accade quando la storia irrompe nella quotidianità delle persone fino a travolgerle?
Francia giugno 1940. Molto sta per crollare, ma tutti – le figure sociali di un paese votato al crollo – pensano che i loro valori non cambino.
Quel momento mette a nudo molte cose. Intanto i protagonisti:
I Péricand famiglia alto borghese, ma ciascuno dei suoi componenti disegna un percorso proprio; Gabriel Corte, un ricco scrittore e Florence, la sua amante; i Michaud, marito e moglie, impiegati di banca e il figlio Jean-Marie sotto le armi; Charles Langelet, un collezionista. Sono solo alcune delle figure che sono travolte dal «Crollo» della Francia.
Lo sfondo è come muore una nazione in primo piano come ciascuno tenta di non modificare niente della propria vita o messo alle strette, per la gran parte dei casi, sceglie “l’arte di arrangiarsi” a spese di chiunque (alle volte ciò che pensiamo essere una caratteristica esclusiva dell’Italiano medio, si presenta come paradigma universale di chiunque, dovunque).
Ma andiamo con ordine.
Tempesta in giugno: tecnicamente una riscrittura di Temporale di giugno, prima parte di Suite francese, e dunque si potrebbe dire un testo che appassiona i filologi o i cultori di Némirovsky. Questa seconda versione è il risultato di un ritrovamento che ha accompagnato gli eredi, a lungo ignari, di ciò che avevano tra le carte fortunosamente salvate di Irène Némirowsky, giovane scrittrice (era nata nel 1903) della letteratura francese negli anni ’30, catturata perché ebrea nel luglio 1942, deportata, morta in gas.
La sua produzione letteraria, un successo negli anni ’30, semplicemente si inabissa con la sua morte. Comunque tutti la dimenticano. Poi nel 2004 gli eredi si trovano in mano un manoscritto tra quelle carte salvate che riapre il suo caso letterario: dal momento in cui nel 2004 Suite francese giunge in libreria, Némirowsky semplicemente non ne esce più, come racconta Cinzia Bigliosi.
Poi appunto la figlia Denise [per un profilo si veda qui il ritratto che ne ha scritto Cinzia Bigliosi] trova questa seconda versione riscritta, limata, molto lavorata della prima parte di quel grande affresco della Francia in dissoluzione e la consegna con tutto il resto all’IMEC (Institut Mémoires de l’édition contemporaine) all’abbazia d’Ardenne in Bassa Normandia. Nel 2019 Teresa M. Lussone richiama l’attenzione su questa seconda versione che Denoël pubblica l’anno seguente. Adelphi la traduce e la lancia in libreria queste settimane.
Fin qui la storia editoriale.
Ora entriamo in questo testo.
Dunque, Francia, giugno 1940. Ultimi giorni della Terza Repubblica.
Parigi come settanta anni prima, ai tempi della guerra franco-prussiana, si sente minacciata e circondata alla vigilia del crollo. La disperazione, la furia, la sensazione di non avere un domani si moltiplicano all’infinito nelle molte storie individuali.
In Suite francese [p. 209], Némirowski aveva tirato una sorta di principio generale che attraversa le vicende e, soprattutto, fonda i comportamenti delle molte figure che costituiscono il cosmo inquieto della Francia che fotografa in quelle giornate
«Gli eventi gravi, felici o meno, non cambiano la natura di un uomo, ma la definiscono, come un colpo di vento, spazzando all’improvviso le foglie morte, rivelala forma di un albero; mettono in luce ciò che era rimasto in ombra; danno allo spirito l’inclinazione che d’ora innanzi seguirà”.
Quella nota riferita a un personaggio specifico – Charles Langelet, collezionista di porcellane, uomo di 62 anni – contemporaneamente individua una silhouette che è un segmento della crisi della Francia così come la coglie Marc Bloch negli stessi mesi in cui Némirowski riprende in mano le sue pagine sulla Francia di Giugno 1940 e dà una forma definitiva all’album di volti e di sensazioni – per certi aspetti un’istantanea dall’alto e una serie differenziata di immagini in movimento della Francia alla ricerca di sé che è Tempesta in giugno.
C’è una differenza rispetto a Marc Bloch. Se lo storico nel suo La strana disfatta insiste cogliendo nel segno sulla somma di vecchi visi e nuove forme, evidenziando una simbiosi tra carattere profondo e cause immediate di quella condizione di crisi, Némirowski pur non dipingendo un quadro diverso cambia completamente la prospettiva che sta sotto le pagine di Marc Bloch.
È la società francese nel suo complesso ad essere messa sotto accusa da Marc Bloch. Una società in cui la destra abbandona l’idea di interesse nazionale e la sinistra non la matura mai; dove la borghesia è troppo presa dai propri interessi, la piccola borghesia è completamente reclinata su sé stessa e la classe operaia non ha mai maturato la fuoriuscita dal suo corporativismo, al cui interno non giunge mai a compimento un processo di reale assunzione di responsabilità nazionale.
Némirovsky, mettendo insieme molte storie compie lo stesso percorso, lo conferma, ma soprattutto non descrive quella situazione come eccezionale, bensì come normale, per certi aspetti come «canonica». La guerra non scopre niente di nuovo, semplicemente mette a nudo ciò che si è. Non indica una novità – e dunque per esempio non trasforma le persone – semplicemente le «rivela». È indifferente il profilo culturale e sociale: vale per Florence, l’amante viziata Gabriel Conte, nell’esemplare episodio su come procurarsi una cena nel corso della fuga con lui [Cap.13]; cena che poi verrà rubata da qualcuno che poco dopo non si farà scrupoli a rubare la benzina a una famiglia povera per garantire la sua possibilità di fuga]. Ma vale anche per Fernande Gouillard, cameriera che rappresenta la condizione del proletariato [cap. 14].
In quei giorni, come nell’esodo biblico, un intero popolo si mette in marcia verso un ipotetico rifugio, o una condizione che consenta di non assumersi la responsabilità del domani. L’assalto alla stazione ferroviaria, senza la possibilità di salire su un treno obbliga i Michaud a muoversi a piedi per raggiungere Tours, destinazione della loro nuova sede della banca [cap.6]. Non ci arriveranno mai; torneranno a Parigi per essere licenziati per non essersi presentati in tempo a Tours [cap. 27]. La lettera di licenziamento è un capolavoro letterario che non farebbe una brutta figura come testo di fine rapporto dell’anno solare 2022.
Lungo le strade di Francia molte persone si spostano, sanno che dietro di loro c’è il nemico che avanza. Per loro il nemico non è solo qualcuno che ha una divisa e una lingua diverse. «Il tedesco», «le bosch», uno che ha memoria della precedente sconfitta ed è tornato per riprendersi quello che gli fu tolto in precedenza.
Scatta così un meccanismo di diffidenza e di «tutti contro tutti» dove i primi a subire sono quelli tra i propri che non sanno organizzarsi o chiedono di essere aiutati, soccorsi, «accompagnati».
Così interi paesi e borgate del confine nord-orientale tra le Ardenne e la Franca Contea si mettono in movimento verso il Sud-Ovest della Francia.
Il tema è dunque come ci si muove in una condizione di eccezionalità, di «fuori casa». Che cosa implica misurare i termini del passaggio che segna il proprio abbandono delle convenzioni. In ogni caso dove molti, eccetto rari personaggi, fanno di tutto per fermare il tempo; il vecchio Auguste Péricand-Maltête nella scena della stesura del suo testamento [cap. 24]; Gabriel Corte, intellettuale che può essere tentato da tutto: proporsi come il rappresentante della Francia violata dal nemico, ritirarsi in attesa di un altro tempo, mettersi al servizio del nuovo ordine che in quei giorni sta prendendo forma a Vichy [cap. 26]. Soprattutto non sopportare il contatto con l’umanità intorno che spesso si muove senza una meta
La regola per ognuno è primum vivere, o tentare di vivere. Per certi aspetti inaugurando un tempo «sospeso» rispetto alla loro quotidianità (condizione che, per esempio, ritroviamo nelle pagine di Il treno di Georges Simenon).
Irène Némirowsky però non si muove su questo terreno. Eccetto pochi casi rappresentati da tre maschi – Philippe Péricand, 27 anni, un parroco che nell’esercito si comporta come l’ultimo soldato fedele agli ordini e che muore [cap. 25], suo fratello Hubert, 17 anni, che sente il senso civico di non arrendersi e che con Jean Marie Michaud (24 anni) intraprende un percorso di ribellione – Némirowsky sottolinea che a confermarsi – a fronte di una condizione eccezionale, in cui si rompono le regole generali – è un profilo costante che fonda e dà personalità a coloro che nemmeno in quel momento vengono meno a se stessi.
Némirovsky lo fissa come un canone nelle sue note di lavoro quando torna a riscrivere la versione che ora abbiamo come nuova scrittura.
Scrive nel marzo 1942: nei giorni in cui sta dando un’organizzazione per noi definitiva, appunto a Tempesta in giugno (consapevole di non avere molto tempo davanti a sé):
«Adesso non bisogna dimenticare che quello che c’è di buono in Guerra e Pace, per esempio, è che in mezzo a tutti quegli sconvolgimenti inauditi la gente continua la propria vita in modo ordinato, pensando, insomma soprattutto a sopravvivere, amare, mangiare, ecc. Del resto tutto ciò è una questione di accento. È sulla vita personale, “egoista” che bisogna mettere l’accento» [Tempesta in giugno, p. 303].
Per farlo occorreva produrre un fermo immagine e comporre un mosaico di storie che si parlano. Non sapremo mai se tra di loro, almeno alcuni, si siano incontrati. In ogni caso si sarebbero riconosciuti.