Ludus, realtà e mondo: Julio Cortázar (1914 – 2014)
A quanti hanno letto Julio Cortázar (e anche a chi non lo abbia fatto ancora) le celebrazioni di questi giorni del centenario di un cronopio con corpo da gigante e faccia da bambino, sembrano più una delle tante diafane invenzioni di qualche suo famas. Non solo perché è ormai probabile che si trovi nell’angustioso regno degli uomini, la qual cosa potrebbe provocare l’esplosione di una nube verde, ma per quell’ingrediente in più che l’humour degli argentini portegni hanno che gli permette di prendere in giro se stessi e superare di cinque lunghezze quello degli inglesi. Humour nero, nero-nero, quello dei portegni, pieno di luci e così trasparente che gli permette, come a cronopioCortázar, oltre a duplicare il suo fascino personale e triplicare il potere di seduzione delle sue fantasticherie, di inventare la loro stessa morte e di indire le celebrazioni del centenario, di questo vivo e ammirevole fantasista delle lettere mondiali contemporanee.
Ieri, con Juliofama, redattore di uno dei capitoli di quella grande finzione spuria e meticcia chiamata per imposizione spagnola Nuovo Mondo (come se fossimo di un altro pianeta), per errore America Latina e per il capriccio di un francese mediocre Terzo Mondo, la nostra letteratura ha raggiunto i livelli più alti della sua storia. Oggi, senza cronopioCortázar, e i suoi fantomatici arpeggi poetici scolpiti nella luce e sulle colline di Roma Kaput Mundi, la nostra letteratura sarebbe come un corpo senza cuore o, se posso, senza sesso né eros. (Spero di arrivare a dire il perché).
Se Julio Florencio Cortázar Descote nacque a Bruxelles lo stesso anno in cui l’Europa con la Grande Guerra cominciava a mutilarsi di nuovo – ma questa volta più seriamente – non è difficile capire come da bambino disponesse di mezzi per appropriarsi della musica e impadronirsi delle lingue. Tanto per iniziare, il francese e poi lo spagnolo (che è quello che parliamo) e il castigliano di tutti (che è quello che scriviamo). E questi ingredienti, la musica e la lingua, contarono molto nella sua vita di scrittore. Non sarebbe nemmeno difficile capire la vicinanza, non solo patafisica con Ulisse Joyce, ermetica con Gregorio Kafka, metafisica con l’angustiato Biberkopf Döblin e matematica con il funambolesco Vladimirovič Majakowskij, visto che andare in mongolfiera da Bruxelles a Alexander Plätz o a Leningrado, è come andare in Concorde da Bruxelles a L’Avana o a Buenos Aires.
Figlio di diplomatici, a causa della guerra atterrò presto a Banfield, un labirintico e sordido suburbio della Gran Buenos Aires. Nel mezzo del caos di un giardino idilliaco così nobile si formò, schivo, scontroso, e solitario. E, per la fortuna di molti, in quella confusione si deformò anche, mentre imparava l’inglese e il sanscrito, tra i compiti di scuola, le prime seghe, i presunti amori dei vent’anni fatti di sesso scadente e atroci dolori hessiani, sommati alle centinaia di letture infinite. Quanto più leggeva, il giovane cronopio, più era la voglia di scrivere delle sue famas, ma meno lo faceva. Fu così che presto si mise a comporre versi d’amore, ispirati a pensieri folli e pregni di memorie del futuro. Quello fu il momento giusto di Presencia, il suo primo libro, firmato dal fama Julio Denis a 24 anni esatti d’età. Perché, nel 1949, non fu poesia, ma una pièce drammatica: Los reyes, copertina in similpelle e scritte dorate, con il quale fu lì lì ad appiccicare nella capitale del Sud del mondo l’illusorio Teatro Irragionevole.
È chiaro che il vate della pampa, come sempre succede, nessuno lo contrattava come con il collega Simonide di Ceo per redigere macabre scene di terremoto o elegie di maratoneti olimpici, non solo in cambio di un succoso bonifico bancario, ma per potersi vantare di essere, anche lui, memorizzatore dell’Arte dell’Oblio. Tanto meno per scrivere lettere di innamorati al palo, redigere memoriali di reclamo né, nel peggiore dei casi, carte nautiche. E questo fa la differenza nel caso di cronopioCortázar, poiché Melville, Carroll e Verne lo avevano già attorcigliato in una ragnatela, in cui si rigirava su se stesso (Cronopius Julius Uroborus Australis) e attorno a una Giduglia fusa nella luce da Marx Ernst, mentre fama Julio si impegnava a demolire nelle chimeriche selve di Palermo grattacieli popolati da pelicosauri, con un giardino di sentieri che si biforcano e scale che vanno al contrario.
Lì in quello stesso quartiere ebraico, a quello stesso angolo della casa rosa, dove il suo maestro, il congelato metafisico Macedonio Fernández (armato di facón e charango) redigeva morto dal ridere la Revista Oral, una delle più famose di tutto il pleistocene, che si stampava sui vapori irriverenti, emanati dai bastimenti zeppi d’immigranti italiani (e non solo) nel Puerto de La Boca, mentre sorbiva yerba mate preparata in bolle di sapone, al ritmo di Milongas recitate in lunfardo e cocoliche.
Tutti i sogni del giovane vate – popolati da gorgoni, jötunn, orchi, afarit, naga, gul, ciclopi, trolls, vipere A-lfanus Xenofobus e G-riiiiilli Mutandis – erano elucubrazioni impossibili poiché, a dire il vero, a lui interessava soltanto rendere trasparenti le barriere affaticate di un immaginario senza imago, tale e quale al Polo Sud con i Gaucho, conquistato da leoni e vampiri, e calpestato da una tradizione senza passato chiamata Peronismo. O Populismo. O Fascismo … che cambia? Se, come insegnano certi viagra-governanti meneghini dell’ultimo ventennio, in fin dei conti è tutto Democratico come il Comunismo.
E ricordate, ladies and gentlemen, che nessun beato reggente di regime odia i libri o le favole (Hitler non lo fece mai), meno ancora chi li scrive, anche se questi lo fanno da sovversivi, per il gusto di mantenere il disordine pubblico e accettare a oltranza la luciferina pax instaurata dal progressista patto di forza vaticano-u.s.a . Per questo, cronopio Cortázar si mise in testa di diventare un cittadino modello per poter combattere come colomba della pace, anche al prezzo dell’esilio, a favore dei progetti rivoluzionari di San Juan Domingo P. (de Perón) e poter così rinnovare la sua infedeltà al tirannucolo, tenendolo d’occhio con il cannocchiale di Galileo dalla cupola del Sacré Coeur, senza sparare Las armas secretas (1959).
Appunti biografici a parte, che non sempre dovrebbero interessare, è utile sapere che poco tempo prima, famaJulio aveva iniziato ad analfabetizzare (essere un calligrafo professionista nell’Amerik LatiKatolik è ancora un atto eroico delittuoso, figuriamoci un secolo fa) prima alle scuole medie e poi all’università: francese e letteratura francese, perché possiate apprezzare, signore e signori, la sua originalità. Questo sì, prima di lasciare l’Argentina e in-siliarsi per sempre a Parigi, senza riuscire a compitare in sol minore “adiós muchachos, compañeros de mi vida, barra querida de aquellos tiempos” e meno ancora a zittire con strilla da baritono El Cambalache nella Casa Rosada, in onore di Santa Evita, riuscì a lasciare nelle mani di un tizio, di nome Jorge Luis (il cronopio grande) un libro che per essere così stupendo e sovversivo (perché senza dubbio era comunista) passò inosservato tra i montoneros del mucchio e oggi ribalta il mondo. Sì, mein damen und herren, si tratta di Bestiario, del quale un certo Borges (avete sentito parlare di lui?) aveva pubblicato esattamente due anni prima «Casa tomada», uno dei racconti del libro, composto quest’ultimo soltanto da otto storie a malapena contenute in centoventi pagine di allora. Riguardo a ciò, il doppio speculare di Borges (Jorge Luis) ricordava:
Incontrai Cortázar a Parigi, a casa di Néstor Ibarra. Mi disse: 'Lei si ricorda cosa ci successe quella sera alla Diagonal Norte?' No, gli dissi io. Allora lui mi disse: 'Le portai un manoscritto. Mi disse che sarebbe tornato dopo una settimana e che mi avrebbe detto cosa ne pensava del manoscritto’. Allora io dirigevo una rivista, Los Anales de Buenos Aires, una rivista oggi ingiustamente dimenticata, che apparteneva alla signora Sara de Ortiz Basualdo, e lui mi portò un racconto, «Casa tomada»; dopo una settimana tornò. Mi chiese la mia opinione, e io gli dissi: Anziché darle la mia opinione, le dico due cose: una, che il racconto è in stampa, e tra qualche giorno avremo le prove; e l’altra, che ho mia sorella Norah delle illustrazioni”.
«Borges habla de Cortázar, Cortázar habla de Borges», Alina Diaconú, La Gaceta - Buenos Aires, 3 aprile 2011.
Con questo libro, Juliofama non solo dava prova di avere aspirazioni-ispirazione e di saper maneggiare la Mont Blanc con inchiostro trasparente, sotto lo sguardo vigile di un unicorno blu azzurro, per graffiare frasi a lettere palmer e scambiare epistolari immanenti con Vico, Montaigne, Napoleone ed Engels, ma poneva anche, e con che lusso di fantastica fantasia e fantasiosa scrittura, le basi inamovibili di un’opera che ancor oggi dà noia, infastidendo o illuminando lettori ovunque. E, quando lo leggerete, mi direte voi, signore e signori, se questo libro (come tutti gli altri) non era comunista, quando queste entelechie verbali si titolano, ad esempio, «Casa tomada», «La puertas del cielo», «Carta de una señorita en París».
Per redigere Bestiario, insisto-insisto, pubblicato da cronopio Cieco che si occupò nel 1951 di scriverlo a voce alta sui muri di Buenos Aires, il famaJulio Cortázar – come avrebbe fatto da quel momento in poi per 43 anni di seguito – mise tutti gli alfabeti (incluso il Morse) in un tubo di zucchero trasparente. Poi, proiettò le immagini disegnate a caso dai ventiequalcosa nanosignificanti, chiamati comunemente lettere, di tutti gli alfabeti che c’erano e ci sarebbero stati, sulla superficie occulta della “graziosa, infinita e cara luna” di Leopardi. Queste, a sua volta le teledirigeva con raggi antiproiettili, fino a registrarle per tutta l’eternità su tavolette di foucaultitanio.
Fu così come il suo agente indù di Mirzapur, lo stesso di कालिदास (leggasi Kālidāsa), poté brevettare a Wall Street, il più assurdo dei caleidoscopi colorati a forma di Mandala tra quelli che si conservano in qualche Museo del Futuro del pianeta TconZero. Questo stesso attrezzo macondiano con cui Cronopio-Fama rifugiato nella sua immaginazione viola e verde, fluttuando tra le pareti delle pagode d’oro di Kanchipurán, e PhD honoris causa in Buddismo, Shintoismo, Tantra, Zen e simili, avrebbe scritto fino alla sua scomparsa definitiva le fanfaluche più fantaevolute della storia sacra della Repubblica Argentina. Poi avrebbe conseguito un Master of Ars Combinatoria alla Camapuca’s University, dopo aver conseguito trenta e lode negli esami reali (di realtà e non di regalità) in Sud-Realismo, Warm Jazz, Tibetian Inculture, Collage Futurista vs Collage Cubista y Latinoamerican Big Revolutions (tutti, credetemi, sostenuti in esperanto).
Partirono quindi per Parigi nel 1951 cronopio Julio e fama Cortázar, a nuoto, nel ventre della sardina, come un’immortale coppia morganatica all’età civica di trenta e qualcosa anni con una generosa borsa di studio per l’École des Hautes Études en Epistemoloreverie. Diplomato sette anni dopo in Magie Noire, tra un mate e l’altro al ‘Les Deux Magots’ con Simone de B., Jean-Paul S. e Marguerite Y., tracciava su papiri antichi leggende e utopie realizzabili, e tra una chiacchierata e l’altra con Albert C., Robe G. e André Pieyre M., nei lupanari del Marais, i quattro immersi nei sogni di Cervantes e le creature di Carroll, Julio Cortázar vinse concorsi illuminati nella Città senza ciclotrone ma con Luce fino a che riuscì a cammuffarsi da interprete e traduttore senza cuffie, ma con megafono, dell’ unesco, il degno guadagnapagnotta di tutta una vita. Fu quell’inverno, con le brezze di dicembre, quando Marvel Moreno, regina del carnevale dei Caraibi, registrò il suo ritratto per Libre, la rivista monarchica del boom in fieri e, due anni più tardi, in estate, cronopioJulius accolse fratello minore Julius, incisore nelle acque di Dionea e primo ballerino di Curramba Bella.
Con una paga da impiegato, essendosi trasferito a vivere nelle cantine che collegano la Galleria Vivienne, a sinistra di Corrientes, con la Galleria Güemes, a destra degli Champs-Élysées – lì dove compare l’Aleph come a Lourdes –, cronopioCortázar, come un coniglio tirato fuori dal cilindro di mago Merlino, iniziò a scaricare i migliori frutti del suo raccolto dall’Albero della Vita, che gli inviavano de Oaxaca, José Revueltas, Juan Rulfo e Jesús Anaya. Fu così come, tra blues, swings e sounds, eruttati come albi fiori della Colombian gold dal sasso-sesso di Charlie Parker, la tromba d’oro di Miles Davis e gli orpelli ritmici di Dave Brubeck, famaJulio, in dodici anni esatti, costruì la sua impersonale Biblioteca de Babel, riassunta in sei libri. Inclusa la pietra filosofale con la quale illuminò i marziani di Torino e di Hanoi, i criptoniti di New York e di Damasco, ispirato dalle muse infernali cronopioCortázar diede per titolo: Rayuela (1962). E preparatevi perché come “Poi piovve a l’alta fantasia”, ventidue anni più tardi – per non rendere troppo lunghi i suoi settant’anni di vita – famaJulio Cortázar avrebbe terminato di comprimerla con almeno altri ventidue volumi, fra poesie, saggi, racconti, narrazioni, drammi e romanzi. Tutti catalogati, registrati e depositati come oro di legge, nella babilonica Biblioteca di Pergamo. E… morì.
Senza avere la pretesa di ispirarvi sulle sue fraterne cronache fantareali, affinché vi decidiate a leggerlo, nonostante le sberle metafisiche che riceverete di suo pugno, e sfidando voi, chers madames et monsieurs, di Googlare e Wikipediare affinché non vi faccia fuori la Sirena di Axólotl, trascrivo alcuni de titoli di cronopioJulio: Los Premios (1960), Historias de Cronopios y de Famas (1962), La vuelta al día en ochenta mundos (1967), 62 modelo para armar (1968), Último round (1969), Viaje alrededor de una mesa (1970), Fantomas contra los vampiros multinacionales. Una utopía realizable narrada por Julio Cortázar (1975), Deshoras (1983), Nicaragua tan violentamente dulce (1984).
Siccome questo non è un necrologio di Neue Zuger Zeitung, per non lasciarvi a digiuno, visto che proprio in questo momento cronopioJulio mi twitta, trascrivo in tre o quattro punti schematici alcune idee suggerite dalle innumerevoli e dotte annotazioni che con cura i critici suprasemiotici postcolonialisti freudiani e i semiologi infrastrutturalisti postmoderni lacaniani chiamano poetiche, e altre cose del genere, sorretti dalle teorie mirabolanti di Pedernera, Kid Pambelé, El Enmascarado de Plata, Batman, Mohamed Alí e Schwarzenegger (sia lodato l’altissimo), incluso il canonista Harold Bloom:
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Per iniziare, pensate a Cortázar, idealmente, a metà di un albero della cuccagna orizzontale fra Macedonio Fernández e Felisberto Hernández, e su una fune da equilibrista verticale fra Jorge Luis Borges e Italo Calvino.
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Parlando dei suoi maestri e compagni: Cervantes certamente, Verne, Poe, Carroll, Duchamp, Checov, Queneau, Jarry, Torres García, Xul Solar, Ubu, Escher, Alechinsky, Lezama Lima, Alasraky, Fernández Retamar. E, senza liste, i migliori del mal definito boom latinoameriKando che tutti conoscono, a cominciare dal cronopioGarcía Márquez in persona, sí signori, comunista come Cortázar.
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Per avvicinarsi alla sua letteratura Realistica-Fantastica (come la definì a suo tempo l’uruguayano Ángel Rama), signore e signori, nel giardino delle vostre case, con un piccolo ramo, come insegna l’accademico super-welter Carlos Monzón, tracciate per favore una linea orizzontale, scrivete, sopra realtà e sotto reale misterioso soprannaturale storico-sociale. E… riflettete. Visto che “la realtà è un’apparenza fenomenologica e il reale si trova sotto di lei e contiene il fantastico che può emergere in qualsiasi momento attraverso vasi comunicanti, pori e gallerie”.
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Con lo stesso ramo tracciate un triangolo e in ciascuno dei suoi vertici scrivete: gioco rivoluzione eros. E... riflettete. Vi do un aiuto, visto che questo fa parte del patrimonio critico di José Miguel Oviedo che li considera i tre elementi costitutivi e motori di tutta l’opera del cronopioJulio famaCortázar che senza dubbio è molto ma molto vicino a Borges ma che, tuttavia, se ne distanzia per la personalizzazione dell’immaginario. Poiché: “Se Borges trama le sue fantasie sotto il sospetto che il mondo reale è immaginazione, Cortázar non si separa quasi mai dalla realtà fisica”.
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(prima di proseguire, traduco in modo che ci si capisca)
“Quello che fa [Cortázar] è dimostrare che al di sotto dell’apparenza ‘normale’ e quotidiana del mondo si nasconde un mondo mostruoso, meraviglioso, spaventoso e imprevedibile. Se sogna un unicorno o altri animali impossibili, queste creature occupano spazi reali come un ascensore o una cucina o un’intera casa”.
Etc., etc.
• Non si può lasciarvi in sospeso, senza la dotta e ispirata ‘esegesi’ di poche righe che gli dedica il mitico Tesoro de la Juventud, redatta dall’astrologo dei tacchini reali, il guru Juan de Dios Botirolik:
Pre-Scriptum: Rayuela. Romanzo scritto dal pibe Julio Cortázar, componente del boom appoggiato da S.M. D. Juan Carlos de Borbón, A morte la monarchia, viva il Re!. Grazie al rispetto dimostrato dal suo autore per le norme della transnazionale opusdeista Voz Católica, con sede in Sudamerica a Bogotà e Bs. Aires, che una volta assolti i traffici dei tribunali di censura, ottenne il Nulla Osta, con una votazione a suffragio universale senza schede, Julio Cortázar ottenne riconoscimento e fama mondiale.
Scriptum: Trattasi di una quasi tragicommedia ludica totalizzante, brachigrafata in 480 pagine. Con cronotopi assolutamente originali, così come i teneri pargoli, nel gioco disegnato per terra con il gesso, spostando una buccia di banana, saltano dalla Terra al Cielo, gli angustiati personaggi e gli ignoranti lettori saltano da un mondo all’altro. In parole povere, tutto il mondo reale, fittizio o immaginario, si sposta dalla realtà al reale, in mezzo ad atmosfere cinestetiche, metaforizzate pragmaticamente, con le quali l’istanza narrativa esplora sottili trame tardo post-umaniste, le quali fanno sì che il romanzo ribolla in mezzo a saturate e palpitanti catalisi e isotopie intradiegetiche, modellate abilmente in codici orgiastici, musicali, pornografici, verbali e etc.
Riuscendo, l’impegnato scrittore con un’estrema saggezza narratologica a concretizzare questa grande storia in cerca d’autore che, pur senza plot e senza discorso, è liberamente lussuriosa e passionale ed è interpretata polifonicamente facendo appello alle innovatrici classi dialogiche elaborate con segni che strutturano prolessi, analessi e catarsi, con cui si ordinano le aristoteliche unità della tragedia. Queste, appaiono esasperate ad infinitum per mezzo di un codice fantasmagorico e comico. Si evidenzino la struttura infinitesimale e minimalista, ora tersa, ora spettacolare come la mite esplosione del Popocatépetl, la fantasia senza abissi dei tahínos a Miami, il policromo e asettico flusso delle elissi, l’inedito costrutto spazio-temporale. Il linguaggio super trendy velatamente ipotestuale è assimilato con sobrietà dal pluriennale rococò gesuitico e harvardiano del comandante Fidel.
Gli acuti stilemi sofocliani servono a modulare senza pesantezza la esperpentica elaborazione degli incassi dei ricami icastici, i quali risaltano l’uso tassiano dei tempi verbali, l’universalità bachtiniana delle pulci portegne, la globalizzazione lacaniana dei ronfi quadrofonici dei parigini. Da notare, la puntualizzazione dell’approssimativo spagnolo portegno con inflessioni bostoniane, e non ultime, le sadiche atmosfere da luna park che vincolano i paratesti alla settima arte e attualizzano il titanico pensiero di Monsieur Cuahutemoc. Julio, questo è il nome di battesimo dell’autore, rovistò tra le casse cinesi del disordine kantiano e riesumò due indici di lettura proposti da questo Pavarotti della narrazione sovrapoetata, che permettono di catalogare timidamente Rayuela come teorizzò in futuro il favoloso Archetipus Ecus di TconZero, “Opera chiusa”. Personaggi principali: Oliveira, La Maga, Morelli, Talita, Traveler, Un tale, Un sempronio, Il jazz cold, la Maledetta vita, la Vita da Cani e altri ancora, fifty-fifty apocalittici&integrati, etc.
Post Scriptum: lettura adatta ai minori. Si consiglia agli eventuali complici adulti un cartone di lsd. Proibito categoricamente l’uso del preservativo e di fare il segno della croce.
Non mi stavo dimenticando, ma nemmeno sapevo quando parlarne, e anche se sembra una storia assurda ve lo racconto – è significativo tanto quanto i suoi pamphlet e i suoi pasquini – che il pibe Cortázar, come mezzo mondo sa, non lesinò energie per farsi carico delle gioie del mondo, soprattutto del Terzo. Le sue prese di posizione di estrema accondiscendenza (ricordatevi che si tratta di un pericoloso comunista) irritarono l’altra metà del mondo, soprattutto perché, come cronopio autentico, usò la sua fama e il suo talento di scrittore per denunciare tanta barbarie e osò condannare i figli putativi di Perón (lo stesso dell’inizio), ¿vi ricordate? Sì, dear ladys and gentlemen, quei camerati che, negli anni delle ultime dittature australi (1976-1983), adesso sono duras dictablandas liberiste neoliberali, torturavano uomini e donne con scariche elettriche nelle parti intime, spegnevano i mozziconi di sigarette sui capezzoli di femmine e maschi, immergevano in pozzi pieni di escrementi umani giovani, adulti e anziani, stupravano indistintamente senza differenza di sesso, età, razza e, credo, facevano sparire i neonati.
Questi stessi camerati che impunemente e con i sostanziosi aiuti militari della Cooperazione Internazione, stanziati dalla Camera dei Lords e dalle transnazionali yankee, buttavano a mare dagli Hércules i dissidenti per non lasciare tracce. Sì, è vero: Cortázar, militante senza patente, difese a ragione e sbagliandosi, con ingenuità o giudizio, poiché era un cronopio senza il dono dell’infallibilità – al contrario del suo compatriota Francesco (quello di Buenos Aires che traffica a Roma) –, le cause proletarie, le rivoluzioni (Nicanahuac e Caobana, non vi dicono niente?). Insomma, per farla breve, il suo attivismo durò finché se ne andò, e mai si rifiutò di esporsi in prima persona contro qualsivoglia forma di (in)giustizia.
Non voglio abusare della pazienza e dello stomaco dei lettori con questi racconti di fortuna, neanche per l’uso esagerato di cronopioJulio e famaCortázar. Per favore, capite che ho più che ragione a farlo, ma barzelletta da comico in panne a parte, l’autorevole cronopioItalo Calvino nel 1971 scriveva, per prolungare proprio Storie di cronopios e di famas di Einaudi:
…il mio discorso bipolare non tende ad altro che a preparare l’entrata in scena dei due cortei contrapposti quelli dei cronopios e dei famas, due genìe d’esseri danzanti e pullulanti, o categorie antropologiche primordiali, che sono la creazione più felice e assoluta di Cortázar; o meglio: a preparare la nostra entrata in un universo totale, con una sua lingua, suoi miti e riti e valori e codici, in cui i cronopios e i famas incarnano con movenze di balletto due opposte e complementari possibilità dell’essere”.
Non lo dico io, che a malapena parlo e, nel caso in cui i nec, leggano l’articolo che pubblicò su La Repubblica, il 14 febbraio del 1984.
Vi invito quindi, una volta che vi siate accomodati sulla vostra poltrona preferita, con la luce soffusa entrambi, Rex sdraiato ai vostri piedi, Lady bee good di Charlie Parker nello stereo pantofole tiepide, un eccellente Malbec rosso ben invecchiato, raccomando 1951, 1963 e 1969 (le date sono pura coincidenza), di fronte a uno schermo bianco o, con in modo molto comunista Pop Corn e Coca-Cola ghiacciata a portata di mano perché It’s the real thing, cliccando sul link indicato arriverà alle vostre mani tele-trasportato da parte mia e, per conto di Cronopius Julius Versificatur Australis, lo stesso Fanta-Caleidoscopio che usò lui per improvvisare le sue inesistenti cronache di fumo.
Questo, vi proietterà gli scarabocchi mischiati con supersegni e infralettere e ne rimarrete soddisfatti, come anche noi, che vogliamo tanto bene ai portegni, proprio perché non lo siamo stati nel secolo prossimo, perché l’arciletterato immaginario, Che Cortázar, è uno di loro, e anche nostro e di tutti. Ah, e visto che siete davanti allo schermo non smettete di leggere quel pessimo esempio del cinema italiano che è Blow-Up visto che il ministro Antonioni ‘tradusse’ in film dal racconto di cronopioCortázar «Las babas del diablo» e, se vi sembra poco, non smettete di sognare Weekend, visto che il ceo Yean-Lucas Godard realizzò questo cartone animato ispirandosi al racconto di Juliofama «La autopista del sur». Se fate il bis di Charlie Parker, vi prego, non mccarthyzzate il racconto «El perseguidor» (in Las armas secretas) perché il sasso/sessofonista è il cattivo della compagnia.
Vedere per credere, perché solo leggendolo per gioco, così come si rivela un enigma patafisico – così come fece l’alto poeta Antonin Artaud con Vincent Van Gogh – è il modo migliore per celebrare questo centenario, animato dalle bellissime Las Taradas, l’improponibile complesso di ladies, inequivocabilmente proletarie senza rivoluzione, come pure si potrebbe mantenere in vita la bella finzione che è il cronopioJulio famaCortázar, perché senza di lui, credetemi, la letteratura latinoamericana e mondiale non avrebbero ragion d’essere. Ubu Roi segne Sie!
PS. Non ho avuto tempo di tornare come avevo promesso su “senza sesso né eros” del secondo paragrafo, ma per favore, mein damen und herren, esercitatevi così come si esercitò cronopio-fama a filmare nei nostri cuori le sue irripetibili telenovele dell’immaginazione e dell’oblio. God bless you