Humor melanconico ed enigmi / Lorenzo Lotto: ironico sguardo
Incline al tormento dei melanconici, Lotto agisce sulla forma e sui temi da esprimere avvicinandosi e prendendo le distanze continuamente dall’iconografia rinascimentale. Come se il demone della sua creatività sentisse l’urgenza di cogliere nuove soluzioni con un passo retrogrado – anche solo per differenziarsi dalle ricerche dei grandi suoi contemporanei – con continue rivisitazioni delle migliori intuizioni espresse nel Medioevo, per tentare nuovi passi in avanti. Progredire retrocedendo, dunque, per infondere alle immagini la forza di una tradizione icastica, con un approccio pervaso da una intimità pacata, che esplode a volte con lampi di visioni straordinarie, e con larghe concessioni al senso dello humor.
L’ironia di Lotto è dissimulazione e insieme anche interrogazione di matrice socratica, che il pittore utilizza nel suo procedere speculativo mentre immagina formalmente le sue opere e dipana la sua poetica concettuale. Vi sono nei suoi quadri dettagli e immagini che significano qualcos’altro rispetto a ciò che sembrano di primo acchito rappresentare, inseriti in un determinato contesto religioso, con tono tuttavia che lascia intendere il vero sentimento attraverso altre allusioni. In alcuni casi Lotto deride scherzosamente, in altri non maschera affatto una constatazione dolorosa dei fatti, utilizzando un registro beffardo e pungente. A volte osa molto, scoprendo troppo il suo animo ingenuo e ambizioso, producendo soluzioni che possono sembrare bizzarre, esprimendo la sua verità emotiva, con una tavolozza di tenerezze e di continui trasalimenti di sensibilità, con interesse sottile a indagare la psicologia dei suoi soggetti.
Nella Pala di Santo Spirito (1521) un angelo si volge all'indietro e riprende un suo collega musico, indicandogli contemporaneamente la colomba divina e il libro dei canti con gli spartiti. Anche uno dei due angeli cantori che reggono il libro si gira verso chi probabilmente si è preso una libertà interpretativa rispetto alle note scritte nello spartito. L'angelo musico ha un'espressione contrariata e pare essersi fermato: i plettri non pizzicano le corde del suo strumento musicale. In questa opera Lotto inserisce un cortocircuito, una nota dissonante all'interno del coro angelico, un bisticcio tra colleghi, forse riferendosi alle questioni luterane, alle dispute religiose, alle idee riformatrici. E intanto, in primo piano, l'infante Battista gioca allegramente strozzando il belato dell'Agnus Dei. A sinistra, alle spalle di Santa Caterina, svetta l’immagine della “fidei columna”, descritta sopra un alto basamento, dedicata alla Madonna, qui interpretata come simbolo della fermezza in anni caratterizzati da dubbi ed esitazioni, derivati dalle critiche mosse da Martin Lutero alla Chiesa di Roma.
Il procedimento ironico viene attivato da Lotto mediante il riadattamento e la trasformazione del soggetto di una Sacra conversazione, tra ragione e slancio religioso, aperto alla possibilità di scarti improvvisi tra descrizione veristica, lenticolare, e straniamento, con un improvviso cambio di prospettiva all’interno della sua rappresentazione.
Nell’iconostasi del coro della Basilica di Santa Maria Maggiore in Bergamo, il coperto simbolico de’ La sommersione di Faraone (1527) evidenzia una poco dissimulata critica allo strabismo di certi cardinali dell’establishment vaticano, mentre un uomo nudo, con una gabbia sulla testa, cavalca un bizzarro asino dalle orecchie leporine e dal muso d’ariete, entro nastri che formano una sorta di teatrino delle vanità. Nella tarsia QVID, Strumenti musicali e simboli (1525) – all’interno di una complessa macchina combinatoria di settanta tarsie che formano un itinerario iniziatico di stampo neoplatonico, con riferimenti a significati astrologici, alchemici, teologici, per aiutare i fruitori a raggiungere una conoscenza superiore – l’artista innesca un cortocircuito, sancendo con il testo dello spartito musicale che la “virtù non se pol seguire”.
Nella tarsia Giuditta e Oloferne (1527) vi sono alcuni soldati dell’esercito assiro-babilonese, rappresentati tra descrizione veristica di stampo nordico e scena sconcia e dissacrante (vista la collocazione sull’iconostasi di una chiesa), che urinano e defecano rivolgendosi verso la città santa di Betulia. Dal 1520, il padovano Angelo Beolco, detto il Ruzzante, introduce nel teatro un modo di recitare naturale, ispirato dalla vita e dall’osservazione acuta della gente, uno stile che si contrappone alla maniera formale e aulica della recitazione cortigiana. Un approccio simile è testimoniato negli stessi anni dalle opere di Lotto, di Romanino e Moretto, che traducono in immagini questa visione molto aderente alla realtà, anche nelle sue accezioni più “basse” e popolari.
Nelle Nozze mistiche di Santa Caterina Lotto raffigura segni del patrimonio popolare, ovvero gesti delle fiche più o meno espliciti o camuffati, tra Santi maschili che reggono oggetti / simboli del potere patriarcale: San Nicola regge il pastorale; San Giorgio impugna a due mani la lancia; S. Sebastiano tiene in mano una freccia. Far le fiche è un gesto volgare ampiamente citato nella letteratura (si vedano per esempio la Divina Commedia, e le opere di natura burlesca o comica, soprattutto Rabelais) e documentato anche da molte opere d’arte. Consiste nel rappresentare l’organo sessuale femminile con l’indice e il medio ripiegati sul pollice: è un gesto del maschio dominante, che si riferisce in questo modo alla potenza del suo pene e della sua figura, lanciando un messaggio di dominio territoriale.
Pare che San Nicola lo compia brandendo il pastorale, ovvero il bastone simbolico del potere ecclesiastico, dall’estremità ricurva e riccamente decorata, usato dal vescovo nei pontificali e nelle cerimonie più solenni. La Madonna intanto tiene sollevata una pagina della Vulgata compiendo un gesto che pare rimarcare la forma del sesso femminile. Poco più sotto il leone di San Girolamo è descritto con uno sguardo malefico e con orecchie simili a corna, come fosse una personificazione demoniaca. I gesti e il leone di San Girolamo creano un cortocircuito all’interno della scena sacra. Lotto suggerisce un contrasto tra desiderio corporale (sessuale, o inoculato dal tentatore luciferino attraverso il peccato), che si annida anche nella carne e nella coscienza degli uomini della Chiesa, e la via mistica intrapresa invece da Santa Caterina, che, nel cammeo della veste, ha un’immagine neoplatonica con sé (l’Amor sulla Bilancia, presente anche nel coro della basilica bergamasca, accompagnato dalla scritta “NOSCE TE IPSUM”).
È l’Amor Socraticus, che rimanda alla conoscenza superiore, di stampo neoplatonico, a una via speculativa necessaria per cogliere i misteri di matrice divina. Il matrimonio mistico di Santa Caterina (il suo nome di derivazione greca – da “Katharòs” che significa “puro” – rimanda etimologicamente all’idea della purezza) è una sorta di visione estatica della verità, qui rappresentata da Cristo infante, che le porge una rosa. Conoscere il mondo divino significa anche conoscere se stessi, secondo la visione umanistica, poiché ciò che è in alto, nelle sfere celesti, è simile a ciò che è in basso, sulla terra dei mortali, dove ogni persona anela a divenire simile alla sua divinità.
Nella Deposizione di Cristo nel sepolcro (1516), una delle tre tavolette della predella della Pala Martinengo, Lotto dipinge in secondo piano tre personaggi che portano sul capo turbanti orientali alla maniera dei Re Magi: vengono a rendere omaggio al Verbo divino che si è incarnato per morire sulla croce. I re giungono a vedere personalmente il corpo di Gesù deposto, che resusciterà a vita eterna e spirituale. I Magi non vanno a visitare la nascita, ma la morte del Cristo. Con un montaggio atemporale Lotto descrive sullo sfondo le croci sul Golgota e sulla collina i pastori con le loro pecore.
Lorenzo utilizza registri differenti, caso per caso, e passa dalla capricciosa tristezza diventata leggera, nel sentimento melanconico, al comico che ha perduto la pesantezza della carnalità umana, e dunque entra nel campo dello humour. In questo viaggio, nel frattempo, cerca di comprendere la varietà delle innumerevoli declinazioni della psicologia umana. La sua è una continua ricerca, una pratica, uno sforzo quotidiano, per cercare di sottrarsi alla forza della gravità, utilizzando la concretezza dell’esperienza tangibile attraverso il senso dello humor.
Ci sono due “puer mingens”, nella produzione iconografica del nostro pittore, che sono esemplari per comprendere la sua intenzione ironica. Il primo è uno dei putti affrescati nel soffitto dell’Oratorio Suardi (1524), a Trescore, il quale indirizza la sua urina là dove in origine era collocata l’acquasantiera, giocando sul termine utilizzato in ambito popolare a designare la pipì dei bambini, come fosse “acqua santa”. Il secondo è il sorridente putto alato che incarna il dio dell’amore nella tela Venere e Cupido (1530 circa), conservata al Metropolitan Museum of Art di New York. Qui il piccolo Eros è descritto divertito, mentre mette in scena un’acrobatica performance, indirizzando il getto della sua urina entro una ghirlanda di mirto, per innaffiare il bassoventre di Afrodite. Come Eros, Lotto si diverte a sua volta a celare qualcosa che non si capisca fino in fondo, lasciando al fruitore – al suo bagaglio culturale o alla sua intuizione – la scelta se sia da leggere in chiave alchemica, se sia un’allusione epitalamica, una scena mitologica legata alla fecondità o una metafora sessuale.
I due putti divengono un rispecchiamento del riso interiore di Lorenzo. Riso nel riso, come fosse un divertissement che in realtà nasconde significati iniziatici. E l’ironia, del resto, è una porta necessaria per comprendere la più alta iniziazione, quella volta a demolire chi si prende troppo sul serio, a ridimensionare chi è troppo sbilanciato verso una visione puerilmente egocentrica. Forse Lotto ha rielaborato l’immagine del “puer mingens”, sostenuto in equilibrio da due donne sotto un tempietto dove campeggia la scritta “ΓΕΛΟΙΑΣΤΟΣ” (“che eccita il riso”), tratta dall’Hypnerotomachia Poliphili (1499) di Francesco Colonna, stampata a Venezia da Aldo Manuzio.
Il Ritratto di Lucina Brembati (1520 ca.) è un capolavoro assoluto della frizione che sta al confine fra ironia e camuffamento esoterico. Lotto descrive la poco avvenente dama della famiglia Brembati nelle vesti della dea Giunone Lucina. La raffigura in maniera diretta e sincera – senza soffermarsi molto sulla sua profondità psicologica, come nei suoi ritratti migliori – con lo sguardo un po’ ebete nel pallore del volto. Lucina pare della razza di quelle poco svelte col pensiero, che colgono le cose sempre un po’ in ritardo, ma che vanno orgogliose di quello che hanno compreso quando qualcuno glielo spiega. E così sembra fiera – e l’artista, che alla consegna del quadro le ha sicuramente spiegato il senso della sua posa – di tenere una mano sul ventre e l’altra all’altezza del petto, accanto all’artiglio (o corno acuminato) che penzola dalla collana e al muso della donnola che lascia vedere i denti appuntiti, nelle vesti della protettrice delle partorienti. E non importa che la donnola, attaccata alla cintura con una catena d’oro, fosse solo un accessorio per l’abbigliamento femminile, invece di alludere alla storia di Galantide narrata da Ovidio, e che l’artiglio avesse la funzione pratica di uno stuzzicadenti. La nobile bergamasca è divertita e orgogliosa del rebus a incrocio che il pittore le ha messo nel quadro per segnalare l’assonanza col nome di battesimo (LU “CI” NA). Ma al contempo Lotto ha evocato un’allusione al significato della luce notturna e a segrete pratiche di stampo mito-ermetico. Lo humour melanconico di Lotto accoglie anche la costruzione ludica ed enigmatica, anticipando di qualche secolo la poetica di Marcel Duchamp. D’altronde la più sublime operazione alchemica dà luogo a un’evoluta visione ironica, che si sposta continuamente nel tempo e nello spazio.