Randy Newman: canzonare l'America
“Quando qualcuno si impadroniva di una verità, e diceva che quella era la sua verità e si sforzava di vivere secondo essa, allora costui si trasformava in una caricatura, e la verità che egli abbracciava, in una menzogna”. Lo scriveva Sherwood Anderson nel capitolo The Book of the Grotesque contenuto nella raccolta di racconti Winesburg, Ohio pubblicata nel 1919. Nell’edizione Einaudi che lessi da ragazzo, Giuseppe Trevisani aveva tradotto quel capitolo introduttivo col titolo di Il libro delle caricature. E in effetti i racconti brevi di Anderson questo sono, un catalogo di ritratti che metteva in guardia il lettore dall’ammantarsi di qualsivoglia verità, pena la mutazione in parodia di sé stessi.
Quel libro di Anderson dimostrò a una generazione di scrittori che si poteva non solo arrivare al cuore degli uomini impiegando mezzi espressivi minimi, ma addirittura svelare, con quella pochezza di mezzi, il carattere di un popolo o la trasformazione sociale di un’epoca. A seguire la lezione di Sherwood Anderson in ambito letterario furono in molti, ma quello sguardo si trasferì anche in canzone grazie all’opera di un autore come Randy Newman. Il primo a tentare una corrispondenza fra Anderson e le canzoni di Newman era stato lo scrittore e critico americano Greil Marcus a metà anni degli ’70 nel saggio Randy Newman: every man is free contenuto nella raccolta Mystery Train: Images of America in Rock 'n' Roll Music. Sul secondo disco di Randy Newman, 12 Songs, questa corrispondenza si fa flagrante, al punto che quel disco potrebbe essere fruito come una sorta di equivalente in musica della raccolta pubblicata da Anderson cinquant’anni prima. Nel disco troviamo dodici canzoni dedicate ad altrettanti tipi umani che, proprio come quelli colti da Sherwood Anderson in Winesburg, Ohio, sono preda di “voglie furiose e deliri inconfessabili”. La differenza è che in Newman, rispetto ad Anderson, i deliri dei suoi personaggi trovano sfogo immediato nella realtà.
La sessualità repressa, implicita in Anderson ma inquadrata in una cornice di puritanesimo, in Newman si fa esplicita e assume forme e comportamenti che diventano norma patologica. Tutti i personaggi di 12 Songs sono caricature di uomini per i quali desiderare è l’ovvio movente del vivere, e per queste loro furiose voglie trovano degli sfoghi ai quali i personaggi di Winesburg, Ohio si abbandonavano solo dopo aver attraversato una profonda crisi morale o spirituale. I personaggi maschili di Newman no. Perdono il controllo senza mai provarne disagio, solo qualcuno di loro avverte il sospetto che qualcosa non torni. Una rapida rassegna delle dodici canzoni ci consegna nell’ordine:
1. Un tale in cerca della moglie, già sorpresa a spasso con il lattaio e a ballare con gli zingari nel bosco (Have you seen my baby?);
2. Un piromane che brucia i campi di grano in preda a frenesia d’amore (Let’s burn down the cornfield);
3. Un tale stupito di trovarsi nel bel mezzo di un’orgia (Mama told me not to come);
4. Un tale che fantastica di una certa Suzanne di cui ha letto il nome scribacchiato in una cabina telefonica (Suzanne);
5. Un tale che prega il Signore affinché gli mandi una donna da amare, non una ragazzina con gli occhiali o una che frequenta la scuola serale (Lover’s prayer);
6. Un tale che s’imbatte in una liceale distesa sulla spiaggia il giorno dopo la festa di laurea, avvolta in un lenzuolo (Lucinda);
7. Un tale a caccia di ballerine di colore – You may call it madness but I call it hi-de-ho – Puoi chiamarla follia, ma io lo chiamo hi-de-ho – con riferimento alla canzone Minnie the Moocher di Cab Calloway, che racconta di una donna di malaffare nella Harlem degli anni ‘30 (Underneath the Harlem moon);
8. Un cinese solo apparentemente normale, da inquadrare in un contesto di razzismo nei confronti degli orientali (Yellow man);
9. Un tanghero di provincia – I'm doin' fine / Shootin' at the birds on the telephone line – Me la passo benone, sparo agli uccelli sui fili del telefono (Old Kentucky Home);
10. Un innamorato che non vede l’ora d’invitare una ragazza al parco (Rosemary);
11. Un pompista solitario: Baby, please come to the station / And I'll wipe your windshield clean / If you need oil, I'll give you oil / And I'll fill your tank with gasoline – Bimba, ti scongiuro: vieni alla stazione di servizio e ti pulirò il parabrezza. Se ti serve dell’olio, ti darò dell’olio, e ti riempirò di benzina il serbatoio (If you need oil);
12. Un tale intenzionato a procurarsi una capra da mettere in giardino per impressionare gli amici (Uncle Bob's Midnight Blues).
Newman tratteggia queste caricature con mano già esperta (va sottolineato che è un autore di poco più di 25 anni), facendo sfoggio di un’ironia, di un sarcasmo, ma anche di una compassione che diverranno proverbiali nei dischi successivi. Sulle prime si potrebbe pensare che Newman ci stia offrendo un catalogo di imbecilli, e in parte forse è così, ma sono tutti uomini che raccontano di un’America preda di desideri irrefrenabili, quanto più parossistici tanto più comici, decisamente più farseschi ma in fondo non tanto diversi dagli abitanti di Winesburg, presentandosi, da un punto di vista formale, con eguale concisione e nitore. Il suo modo di stare in canzone è già tutto lì: un narratore dietro cui si avverte l’acutezza di sguardo, sommato a una serie di personaggi che si espongono in tutta la loro ingenuità, con la tensione narrativa e il senso del comico che ne consegue. A Newman bastano pochissimi tratti per fare di queste figure delle caricature memorabili, e sempre all’insegna del motto: non appena qualcuno s’ammanta di una verità (o di un desiderio irrefrenabile), eccolo trasformarsi in caricatura.
La verità mutata in menzogna nelle canzoni di Randy Newman, col passare degli anni, non risparmierà nessuno, neanche il bambino che assiste incantato a una parata della polizia. Succede nella canzone Jolly Coppers on Parade, tratta da disco Little criminals pubblicato nel 1977, un disco che si apriva con la caricatura di You can’t fool the fat man (Non puoi fare fesso il ciccione), e proseguiva con il commovente ritratto di una ragazzina texana al funerale del padre (Texas girl at the funeral of the father), quello di un tale che cerca di sedurre una ragazza irlandese grazie al Modugno di Nel blu dipinto di blu (Kathleen – catholicism made easier), o ancora la caricatura del cowboy moderno, un lontano parente di Buffalo Bill e come lui figlio della prateria, il quale s’immagina romanticamente o soltanto pacchianamente – la sua menzogna – alla stregua di un cavaliere sotto la pioggia (Rider in the rain), fino ad arrivare al ritratto di Albert Einstein filtrato via Sigmund Freud (Sigmund Freud's impersonation of Albert Einstein in America), dove la verità tradita è il peccato originale dell’America tutta:
You're the best dream man has ever dreamed
And may all your Christmases be white
(Sei il miglior sogno che uomo abbia mai sognato / E che tutti i tuoi Natali possano essere bianchi)
Chiudendo l’elenco di ciò che gli americani sognano con due versi che mutano il tono della canzone, caricandola della fine ambiguità così tipica di Newman:
And African appendages that almost reach the ground
And little boys playing baseball in the rain
(E appendici africane che toccano quasi il suolo / E ragazzini che giocano a baseball sotto la pioggia).
L’America bianca. Come non ricordare a questo proposito la canzone I’m dreaming (2012), pubblicata a ridosso delle elezioni americane che avrebbero poi riconfermato Barack Obama, dove Newman, dopo aver elencato in ordine di mandato i nomi dei primi tre presidenti americani (George Washington, John Adams, Thomas Jefferson), premurandosi di specificare il colore della loro pelle, passa direttamente al sedicesimo (Abraham Lincoln), rimarcando che lui sì, aveva una colorazione sospetta (era probabilmente bianco), per chiudere con il “più bianco di tutti”, William McKinley. Dopo aver elencato questo po’ po’ di presidenti bianchi, Newman attacca infine il ritornello della canzone: I’m dreaming of a white…, richiamando alle orecchie dell’ascoltatore l’inconfondibile intercalare di White Christmas di Irving Berlin, salvo che a white, Newman fa seguire, anziché Christmas, la parola President (ovvero: I’m dreaming of a white President / Just like the ones we’ve always had; sogno un presidente bianco, proprio come quelli che abbiamo sempre avuto). Obama fu poi rieletto, ma Newman quattro anni dopo vide realizzata la sua caustica profezia (qualcuno dirà, con gli interessi), nella figura di Donald Trump.
Il gioco delle caricature può facilmente essere applicato a ogni disco di Randy Newman, si pensi soltanto alla caricatura dedicata a Vladimir Putin nel 2016, quando Donald Trump monopolizzava l’attenzione dei media americani. Se davvero cercate un maschio alfa, suggeriva Newman con la consueta ironia, io ho l’alternativa che fa al caso vostro. Anche in questo caso a Newman basta davvero poco per suscitare un sorriso:
Putin puttin' his pants on
One leg at a time
(Putin s’infila i pantaloni / una gamba per volta)
Ecco un macho coi superpoteri, al punto che:
He can drive his giant tractor
Across the Trans-Siberian plain
He can power a nuclear reactor
With the left side of his brain
(Può guidare il suo trattore gigante / Attraverso la pianura transiberiana / Può alimentare un reattore nucleare / Con la parte sinistra del cervello)
Con quei tocchi di ironia che solo Newman riesce a mettere in canzone:
Sometimes a people is greater than their leader
Germany, Kentucky, France
(A volte un popolo è più grande del suo leader / Germania, Kentucky, Francia)
Il 22 ottobre prossimo, a due settimane dal voto americano, uscirà la biografia ufficiale di Randy Newman. Ne è autore Robert Hilburn, storica firma del Los Angeles Times e già autore, nel 2013, della biografia di Johnny Cash (The Life), e di quella di Paul Simon cinque anni dopo (The Life, anche in questo caso). La biografia di Newman prenderà invece il titolo di A few words in defense of our country (qualche parola in difesa del nostro paese), come una sua canzone.
Accanto alla biografia, a breve, cadranno anche i cinquant’anni dalla pubblicazione del disco Good old boys, forse il suo capolavoro, che Newman diede alle stampe nel settembre del 1974, un altro disco di caricature che aveva per oggetto i cari vecchi ragazzi del sud. Ognuna delle canzoni di quel disco meriterebbe uno spazio a sé, ma è difficile non soffermarsi almeno su quella che lo apriva, Rednecks, una canzone che racconta di un tale che dopo aver visto il senatore segregazionista Lester Maddox ridicolizzato in televisione da un ebreo saputello (some smart ass jew, è l’espressione usata da Newman), ne rimase scosso al punto da cercare sfogo in canzone. L’ebreo saputello altri non era che il conduttore Dick Cavett, il quale nel corso del suo programma, il Dick Cavett Show, aveva stuzzicato il governatore Maddox (un governatore democratico, non repubblicano) in merito alle sue convizioni segregazioniste. Siamo, per la cronaca, nel dicembre del 1970 (ospiti quella sera nello studio anche Truman Capote e Jim Brown):
And the Jew laughed at Lester Maddox
And the audience laughed at Lester Maddox too
Well he may be a fool but he's our fool
If they think they're better than him they're wrong
(L’ebreo rise di Lester Maddox, e così fece il suo pubblico. Sarà anche uno stupido, ma è il nostro stupido, e se credono di essere migliori di lui, si sbagliano).
Riascoltando questi versi il pensiero non può non correre alla figura di Donald Trump e al fascino che l’ex presidente continua a esercitare su metà dell’elettorato americano. In fondo Randy Newman aveva già colto la banalità della questione in quei due versi: sarà anche uno stupido, ma è il nostro stupido, e se credono di essere migliori di lui, si sbagliano.
La canzone Rednecks risultò fin da subito controversa. L’uomo del sud ne usciva non solo ridicolizzato, ma dipinto come l’incarnazione stessa del demone razzista del paese:
We talk real funny down here
We drink too much and we laugh too loud
We're too dumb to make it in no Northern town
And we're keepin' the niggers down
(Quaggiù parliamo davvero in modo buffo, beviamo troppo e ridiamo a squarciagola. Siamo troppo stupidi per farcela in una città del nord, e continuiamo a opprimere i negri).
Sulle prime la canzone si presenta come un’invettiva contro la grettezza e l’arretratezza culturale degli stati del sud. Cambia però di passo non appena Randy Newman apre l’obiettivo mettendo a fuoco l’America nella sua totalità, elencando i ghetti delle città del nord, estendendo così la nozione di redneck a tutto il paese:
Down here we're too ignorant to realize
That the North has set the nigger free
Yes he's free to be put in a cage
In Harlem in New York City
And he's free to be put in a cage
On the South Side of Chicago
And the West Side
And he's free to be put in a cage
In Hough in Cleveland
And he's free to be put in a cage
In East St. Louis
And he's free to be put in a cage
In Fillmore in San Francisco
And he's free to be put in a cage
In Roxbury in Boston
(Quaggiù siamo troppo ignoranti per capire che il nord ha liberato il negro. Sì, è libero di essere messo in gabbia a Harlem a New York, nel South Side di Chicago, o nel West Side, a Hough a Cleveland, a Fillmore a San Francisco, a Roxbury a Boston…)
We're rednecks, we're rednecks
We don't know our ass
From a hole in the ground
(Siamo rednecks, siamo rednecks. Non sappiamo riconoscere il nostro culo da un buco nel terreno).
Pur riconoscendo il grottesco nelle azioni dei suoi connazionali, anche Sherwood Anderson come Randy Newman non poteva impedirsi di provare dell’affetto per loro. Nell’opera di entrambi pare emergere lo stesso sguardo critico ma anche la stessa magnanimità di giudizio: ci ostiniamo a tradurre le nostre verità in menzogna, ma nel farlo sappiamo anche offrire sprazzi di candore e di tenerezza. A Winesburg, Ohio, nel midwest americano, prima dello scoppio della Guerra Civile erano arrivati i Bentley, padre, madre e cinque fratelli. Fra di loro spiccava Isaia: “io sono un nuovo tipo di uomo venuto in possesso di questa terra” diceva in tono altisonante. “Considerami, mio Dio, e considera pure i miei simili e tutti coloro che qui mi hanno preceduto. Crea in me un altro Isaia, Dio, a somiglianza di quello dell’antichità, che governi gli uomini e sia padre di figli destinati a governare”. L’Isaia di Anderson era un uomo che “voleva spasmodicamente fare della sua vita una cosa importante; osservando i propri simili e vedendo che la loro vita era quella di una zolla di terra, gli pareva di non poterla sopportare per sé”. Gli altri fratelli erano ragazzi che se ne stavano per lo più zitti perché “parlare per loro era una cosa difficile”. Coltivavano forse verità minori rispetto a quella di Isaia, così solenne e diretta al cielo, ma pure le loro, di verità, si trasformavano incessantemente in menzogna: “quand’avevano comprato carne, farina, zucchero e sale, andavano in una delle osterie di Winesburg a bere birra. Sotto l’influsso dell’alcool si liberavano gli istinti violenti della loro natura, compressi dall’eroica fatica di penetrare una terra vergine. Una specie di fervore poetico, rozzo e animalesco, s’impossessava di loro. Sulla via del ritorno si alzavano in piedi sul carretto e apostrofavano le stelle”. I personaggi descritti da Sherwood Anderson in Winesburg, Ohio, siano essi solenni o triviali, ingenui o soltanto invasati, assomigliano molto da vicino a quelli che avremmo poi ritrovato nelle canzoni di Randy Newman, uomini e donne che poco altro sembrano destinati a fare in vita, se non mirare fiduciosi in cielo per poi limitarsi, nel momento della verità, ad apostrofare le stelle.
Bonus Track: Randy Newman, Dayton, Ohio - 1903
In copertina, Randy Newman foto di Pamela Springsteen.