Una rossa amarilli per Natale
Gottfried Benn non ne voleva sapere della sua sfacciata fioritura. Preferiva mandorli e lillà – «che fioriscono come sotto un velo» – ortensie – «il più placido dei fiori – e gladioli: «lenti, durevoli non sanno d’irritazioni, / generosi, sicuri d’esser dentro i sogni dei re». Ma l’amarilli no. Che gliela levassero dallo sguardo. La sua «mente distrutta» non poteva consentire a una presenza così sicura, «totale», a quel rosso «traboccante» di vita. Così scrive nelle tre quartine di Porta via l’amarilli, stese il 26 gennaio 1953:
Ich kann kein Blühen mehr sehn,
es ist so leicht und so gründlich
und dauert mindestens stündlich
als Traum und Auferstehn.
Nimm fort die Amarylle,
du siehst ja: gründlich: – sie setzt
ganz rot, ganz tief, ganz Fülle
ihr Eins und Allerletzt.
Was wäre noch Stunde dauerndì0
in meinem zerstörten Sinn,
es bricht sich alles schauernd
in Augenblicken hin.
Io non posso più veder fiorire,
è così lieve e così totale
e dura un’ora almeno
di sogno e di resurrezione.
Porta via l’amarilli,
lo vedi, no? Totale – e rossa
e traboccante impone
il suo una volta e mai più.
Cosa sarebbe un’ora che dura
nella mia mente distrutta,
tutto va in pezzi, in attimi
si frange rabbrividendo.
(trad. di Anna Maria Carpi)
Tuttavia, proprio questo rosso, facile da avere in casa reciso o in vaso, fa subito Natale e pure Capodanno. L’Amaryllis o, per meglio dire, l’Hyppeastrum, grande nel bulbo e nei fiori, arriva con la sua sfarzosa e forzata fioritura per le feste di fine anno, ché di suo si esibirebbe nello show solo in primavera.
Sbarazziamoci subito della questione nomenclatoria: continuiamo a chiamarla amarilli (o amarillide), benché i dispettosi botanici dal 1987 l’abbiano classificata come Hippeastrum. Entrambe sono bulbose dello stesso ordine (Asparagales, già Liliales) e della stessa famiglia (Amaryllidaceae), ma l’amarilli (Amaryllis belladonna) è sudafricana mentre l’hippeastro è sudamericano. Quella, velenosa ma profumata, fiorisce in autunno e meglio si presta alla coltivazione in piena terra, specie se sabbiosa e ben drenata, anche in climi rigidi se abbiamo la grazia di stenderle una copertina di foglie o paglia: il bruno stelo, alto 60 centimetri, pieno e nudo – neked Lady la chiamano infatti gli inglesi – porta un ciuffo bianco-rosato di sei-dieci corolle imbutiformi, tutte volte al sole nella medesima direzione, le foglie nastriformi spuntano solo dopo, divaricandosi ai lati del bulbo. L’hippeastro invece ha anch’esso un alto scapo florale ma cavo e più robusto, che sorregge dai due ai sei fiori a trombetta o a stella, composti da sei tepali (tre petali e tre sepali) scarlatti o aranciati, candidi o rosei, striati di bianco o di giallo o verde; negli ibridi i fiori sono di solito quattro ma grandi anche 25 centimetri e persino doppi, a supplire la fragranza mancante. La tunicata cipolla dalle radici carnose è piriforme (circa 10 cm.) per l’amarilli, tondeggiante (30 cm. e più) per l’hippeastro, quest’ultima va interrata per due terzi, ma può far bella mostra di sé anche in un vaso di vetro poggiata su uno strato di muschio o corteccia.
Amarilli è l’amata del Titiro virgiliano che, placidamente sdraiato all’ombra di un faggio, col suo zufolo insegna alle selve tanto nome: «tu, Tityre, lentus in umbra formosam resonare doces Amaryllida silvas» (Buc. I, 4-5). È cifra bucolica, già spesa da Teocrito, di pastorelle che già nel nome hanno scritto la loro luminosa avvenenza (amarysso=brillare). Non altrettanto trasparente è invece la ragione di Hippeastrum (hippeus=cavaliere, astron=stella) almeno nella sua prima parte equestre. Forse per i fiori stellati che paiono star in sella al lungo stelo? Mah.
Certo, non la pensavano come Gottfried Benn pittori quali Mondrian che, dal collo azzurro di una bottiglia, ritta al mezzo di un fondale blu cobalto, fa esplodere come un fuoco d’artificio un’amarilli vermiglia (Amaryllis, 1910); né Matisse che dipinge figure femminili accanto a vasi di amarilli bianche (Ragazza in abito bianco con un vaso di amaryllis, 1941) o striate (Donna seduta con un vaso di amaryllis, 1941). Per non dire di Emile Nolde che alle amarilli ha dedicato più d’una tela.
Insomma, non diamo retta a Gottrfried Benn, e regaliamoci a Natale una scarlatta amarilli, o hippeastro che dir si voglia. Per incentivare l’acquisto, e pareggiare il conto in versi, rivolgiamoci a una poetessa contemporanea che non ha problemi di sorta a confrontarsi con tale prorompente manifestazione della natura, consapevole del sontuoso splendore che può regalarci nei mesi grigi del freddo.
Lei è la statunitense Connie Wanek, nata nel 1952 a Madison, Wisconsin, cresciuta in New Mexico e ora residente a Duluth, Minnesota; nel 2016 ha dato alle stampe la raccolta Rival Gardens, da cui colgo, per offrirvela, questa Amaryllis:
A flower needs to be this size
to conceal the winter window,
and this color, the red
of a Fiat with the top down,
to impress us, dull as we've grown.
Months ago the gigantic onion of a bulb
half above the soil
stuck out its green tongue
and slowly, day by day,
the flower itself entered our world,
closed, like hands that captured a moth,
then open, as eyes open,
and the amaryllis, seeing us,
was somehow undiscouraged.
It stands before us now
as we eat our soup;
you pour a little of your drinking water
into its saucer, and a few crumbs
of fragrant earth fall
onto the tabletop.
Un fiore dev'essere di questo calibro
per nascondere la finestra invernale,
e di questo colore, il rosso
di una Fiat con giù la capote
per impressionarci, apatici come siamo diventati.
Mesi fa la cipolla gigante di un bulbo
a metà fuori terra
ha tirato fuori la sua lingua verde
e lentamente, giorno per giorno,
il fiore è entrato nel nostro mondo,
chiuso, come mani che hanno preso una falena,
poi aperto, come occhi aperti,
e l'amaryllis, vedendoci,
in qualche modo non si è fatto scoraggiare.
Adesso sta dritto davanti a noi
mentre mangiamo la minestra;
tu versi un po' dell'acqua che bevi
nel suo piattino, e qualche granello
di terra fragrante cade
sul piano del tavolo.