Speciale
“The Lady Vanishes” di Anna Franceschini a Paris+
Tre mani si muovono nello spazio, collegate mediante un dispositivo meccanico a superfici specchianti disposte, rispettivamente, una in verticale contro una parete, le altre due in orizzontale, una direttamente sul pavimento, l’altra che fa da piano di un tavolino. Le mani sono bianche, e si prolungano nell’avambraccio come se fossero dei guanti solidificati, o frammenti di manichini, che si potrebbero trovare in qualsiasi vetrina o espositore di gioielli, anelli, braccialetti, orologi o guanti, o come sostegno di tessuti. Il meccanismo che le muove è esibito e fa parte dell’opera, come i fili elettrici da cui proviene l’energia che tiene in movimento le mani.
L’opera si intitola «The Lady Vanishes», l’autrice è Anna Franceschini, 43enne artista pavese che vive e lavora a Milano, dopo essere stata in molte nazioni come vincitrice di residenze e borse di studio e per allestire mostre in importanti gallerie private e grandi istituzioni, con opere e allestimenti che hanno alla loro base il cinema inteso come movimento, ma fatto “con altri mezzi” che si concretizzano sotto forma di sculture cinetiche, macchine celibi e performance.
«The Lady Vanishes» è stata creata specificamente in occasione di Paris+ par Art Basel (dal 20 al 23 ottobre) , all'interno della Partner Area al Grand Palais Éphémère, in collaborazione con la Galleria Campoli Presti, all’interno delle iniziative di “Sanlorenzo Arts”, una vera e propria piattaforma dedicata all’arte creata dal gruppo Sanlorenzo, leader della nautica italiana noto al livello mondiale, che promuove e diffonde progetti che coinvolgono artisti, designer, pensatori e creativi, che affrontano in modo originale i temi più attuali della nostra società. Non solo sponsor, quindi, ma anche partecipe della creazione e diffusione di opere di artisti contattati per la loro opera innovativa che si avvale, come per Anna Franceschini e in precedenza Arcangelo Sassolino, anche della tecnologia come strumento di indagine dei confini dell’attività artistica e del pensiero.
L’opera creata da Franceschini per questa occasione parigina (ma la mostra si sposterà anche in altre sedi internazionali) è l’insieme delle tre sculture cinetiche descritte che si ispirano, come altre opere dell’artista, al design di una vetrina. L’artista ha coniato al proposito il neologismo “Vetrinology”, che compendia lo snodo teorico di un lavoro “che incrocia l’arte, la moda, il design e la cultura visuale”.
Le mani continuano a muoversi in un ciclo continuo con accenti gestuali diversi: accarezzare, graffiare, allungare la mano, fare cenno o semplicemente ripassare posizioni che sembrano appena acquisite dalla macchina. Gli specchi forniscono un sostituto effimero e temporaneo dell’assenza del corpo quando la superficie riflettente viene intercettata da una figura umana e una volta che lo spettatore se ne è andato, la ‘signora’ scompare di nuovo”.
Le tre sculture, per usare le parole dell’artista “sono macchine sceniche ma anche autentiche macchine del desiderio, che regalano immagini sospese tra arte, moda, cinema e tempo. L’opera d’arte implica una relazione complessa con la rappresentazione del corpo femminile, l’esibizione della femminilità nelle immagini in movimento e nelle rappresentazioni teatrali e porta ad interrogarsi sulle strategie di induzione del desiderio messe in atto dal consumismo, sul rapporto tra sguardo, immagine e costruzione dell’identità, e il significato dello sguardo maschile o femminile”, senza che questo confini la riflessione all’ambito di genere, che anzi viene messo in discussione, sovvertito e decostruito in una prospettiva queer.
L’ispirazione dell’opera viene da un brevissimo spezzone tra i pochi sopravvissuti di Meliès, uno dei primi esempi di magia filmica che usa il montaggio per far apparire e sparire successivamente una donna e uno scheletro e poi ancora la donna; e da L. Frank Brown, l’autore del Mago di Oz, che era anche un famoso vetrinista che aveva creato il trucco di una scena in cui una modella, mediante un ascensorino, appariva e scompariva dalla vetrina vestita sempre in modo diverso, richiamando un enorme flusso di spettatori. E, come detto, proprio sulle vetrine con i loro portati estetici, sul manichino e la femminilità e la merce che finisce per catturare e assimilare a sé anche lo spettatore, Franceschini ha sempre lavorato, tanto da farne una delle costanti e dei cardini della sua opera.
“Lo specchio, dice l’artista, qui fa sì che l’opera venga completata da chi vi si specchia: la signora che scompare non è una persona reale ma un concetto, tutti siamo la signora che sparisce nel momento in cui entriamo nel display della superficie specchiante e poi ne usciamo in un gioco di seduzione”, come quando ci fermiamo davanti a una vetrina attratti dalle merci, noi stessi merce in questo scambio seduttivo. Ci sono apparati apparentemente femminili, ma per l’artista non si tratta di limitarsi a un gender: tutti possiamo essere quello che vogliamo, almeno assumerne le sembianze e i comportamenti.
Ma quello su cui l’artista riflette, e intende far riflettere, sono tutti i corpi, femminili o di minoranze che appaiono e scompaiono ma sempre per effetto di una volontà altrui spesso oppressiva, come oggetti manipolati da altri, come i maghi e gli illusionisti, che ne segano e smontano il corpo come manichini, che affascinano anche perché si possono modificare o manipolare a piacimento, favorendo la fantasia che chi si sente brutto o imperfetto o incompleto, possa essere diverso, cambiare, migliorare…
La meccanica che regola il movimento delle mani è piuttosto semplice, in opposizione a quelle molto complicate e sofisticate che ora la tecnologia e l’intelligenza artificiale consentono: macchine “un po’ stupide”, con meccanismi elementari, quanto basta per far riflettere sull’aspetto tecnologico, senza che esso prevalga. Ciò che importa è fare senza nascondere, e anzi mostrando apertamente, e quindi innescando la riflessione che appunto di un marchingegno si tratta, cioè mostrando il trucco, contrariamente allo spettacolo illusionistico, senza che questo elimini però la magia, servendosi invece della magia della loro semplicità, dell’incanto anche ipnotico della ripetizione che permettono, ma che si rinnova diverso ad ogni spettatore che entra in contatto con esse, si ferma a guardarle, si specchia, e così facendo in qualche modo le completa offrendo loro una fisionomia e un corpo, e poi se ne va, svanisce.
Il movimento dello spettatore si accompagna a quello della macchina, lo reduplica, in un certo senso, mettendo in movimento lo spazio riflesso, come si muove la mano collegata al meccanismo, che interagisce con la scenografia interna all’immagine, quella dell’ambiente in cui l’opera è collocata, nelle differenti angolazioni che il suo spostamento mostra agli occhi di chi guarda. Sono opere site-specific pensate per l’ambiente in cui sono collocate, che quindi è loro parte integrante, che siano messe in verticale o in orizzontale.
Che cosa fanno veramente quelle mani? Una si muove avanti e indietro e dal basso in alto come se stesse raccogliendo qualcosa o mostrando gioielli che non ci sono, o salutando o invitando ammiccante; la seconda entra in contatto con la punta delle dita con lo specchio, come a grattarlo, o titillarlo, o a saggiarne la levigatezza; mentre la terza sembra afflosciarsi a causa del movimento che la porta prima a sfiorare e poi come ad accarezzare con il dorso la superficie su cui è installata con un gesto delicato, e insieme sensuale.
Tuttavia non solo il loro significato, ma persino la comprensione effettiva di quanto avviene veramente e dei loro movimenti resta sospesa, indecidibile. La loro lenta ripetizione sembra contenere un’allusività a qualcosa che non possiamo determinare, e trasmette proprio per questo un che di perverso, alla Bellmer potremmo dire con una piccola forzatura, che accende un desiderio senza oggetto, che affascina e lascia sbigottiti.
I movimenti sono quelli di gesti che possono evocare non solo la seduzione delle merci esposte nelle vetrine ma anche richiamare, nella mente (o nella fantasia) di chi osserva la componente seduttiva che ogni opera d’arte comporta e a cui già lo specchio esplicitamente allude. Lo specchio, come è noto, ha molte valenze, che l’arte di tutti i tempi ha indagato in tutti i suoi molteplici riflessi e implicazioni (da Van Eyck a Velasquez, a Pistoletto e a Kapoor), pur presentandosi come un oggetto semplice, unidimensionale.
Niente però è più complesso di qualcosa che si presenta come semplicissimo, senza identità propria e pronto ad assumerne tante quante sono le persone che vi sostano e passano davanti, convinte di esserselo lasciato alle spalle appena andate via, svanite dal mondo che vive al suo interno, e poi magari restano catturate per sempre nell’insondabile profondità della sua superficie e nell’incessante metamorfosi della sua immobilità.
Nella foto Anna Franceschini. Cortesia di Sanlorenzo.
Dal 1958 i cantieri navali Sanlorenzo costruiscono motoryacht su misura di alta qualità, distinguendosi per l’eleganza senza tempo e una semplicità nelle linee, leggere e filanti, che si svela nella scelta dei materiali e nella cura dei più piccoli dettagli.