Cinquant'anni dopo / Che Guevara guarda anche da morto
Qualche tempo fa, guardando il Cristo deposto realizzato da Francesco di Giorgio nella seconda metà del Quattrocento mi è venuta in mente un’immagine drammatica di Ernesto Guevara, una fotografia in particolare, che documenta il volto con gli occhi e la bocca semiaperti, scattata poco dopo la sua morte. Pur avendo veduto numerosi Compianti e Deposizioni durante gli studi iconologici, mi sembrò curioso non aver pensato a un collegamento con altre opere d’arte o a confronti storico-artistici, ma che invece avessi pescato dalla mia memoria l’immagine del rivoluzionario argentino. Pensai che Mnemosyne a volte innesca qualche nesso che non si comprende all’istante ma più in là nel tempo. Qualche giorno dopo, tornato da Siena, cercai nella mia biblioteca un libro con le fotografie scattate da Freddy Alborta e da Marc Hutten al corpo morto di Guevara. Mentre sfogliavo le pagine con le foto dello pseudo-compianto dei militari boliviani, invece paragonai il corpo morto del Che con quello di Ettore sdraiato sotto il letto di Achille, come appare in alcune coppe attiche del V secolo a.C. (si veda: Achille con il corpo morto di Ettore, Tondo da una figura rossa attica, 490-480 a.C., Parigi, Museo del Louvre). Lo sfregio del cadavere mi aveva condotto al racconto omerico. A che cosa si deve questa persistenza dei gesti, questo ricorrente ritorno di un comportamento spontaneo che attraverso l’odio pensa che "i cadaveri dei nemici non sono in nulla diversi da quelli dei cinghiali” (F. Fortini)? Lo strazio del cadavere si esegue scientificamente per terrorizzare e dissuadere il nemico?
Il “Che” viene assassinato a sangue freddo o l’8 o il 9 ottobre 1967, il giorno dopo la sua cattura a La Higuera, in Bolivia. Il cadavere viene trasferito poi a Vallegrande, dove il maggiore Roberto Quintanilla mette in scena l’ostensione del nemico ucciso, sopra un lavatoio pubblico rurale. Il regime boliviano esibisce il corpo come un macabro trofeo. Lo espongono come un animale appena catturato e ucciso. I militari sembrano cacciatori che si mettono in posa attorno alla preda per esaltare la loro impresa. I generali René Barrientos Ortuño e Alfredo Ovando Candía – che hanno preso il potere nel 1964 con un colpo di stato – forse per accondiscendere al volere dei governanti degli Stati Uniti o dei vertici della CIA ordinano l’esecuzione sommaria del Che, avvenuta materialmente per mano del sergente Mario Terán. Secondo un’inchiesta pubblicata una decina di anni fa dal quotidiano argentino “Clarín”, è il presidente Lindon Baines Johnson a dare l’ordine di uccidere Ernesto Guevara, perché «si è ormai trasformato nel principale nemico comunista nella Guerra Fredda con l'Urss». Il dittatore Barrientos spera, allestendo un vero e proprio spettacolo, che il riconoscimento pubblico e ufficiale del nemico sconfitto lo legittimi politicamente.
Ma il corpo esposto al pubblico gli si ritorce contro e fa accrescere il mito dell’eroe rivoluzionario in tutto il mondo. Barrientos aveva pensato di tagliare la testa di Guevara e di spedirla a Cuba, ma gli americani si erano opposti. Le mani vengono amputate per controllare le impronte digitali dopo la sua sepoltura. E le impronte sono confrontate da tre periti della polizia scientifica argentina, Nicolas Pellicari, Juan Carlos Delgado ed Esteban Holzhauer, inviati a Santa Cruz de la Sierra in missione segreta dal dittatore argentino Juan Carlos Onganía, su richiesta di Barrientos stesso, affinché possano provare al di là di ogni dubbio che il guerrigliero ucciso sia davvero Che Guevara.
I tre funzionari portano dall’Argentina l’impronta digitale di Guevara stampata vent' anni prima sulla sua carta d'identità. All'alba del 12 ottobre 1967, i tre periti confrontano l’impronta con quelle delle dita delle mani conservate in un vaso pieno di formalina e la calligrafia nel diario del Che. Grazie a questa missione segreta anche Fidel Castro si convince della veridicità della morte del suo compagno d’armi. In un primo momento, dopo la cattura e l’uccisione del rivoluzionario, l'esercito e il governo boliviano diffondono notizie false: dicono che è stato ucciso in combattimento, e che il suo corpo non esiste più. Barrientos è terrorizzato dall'idea di dover dare spiegazioni e che si presenti la possibilità di una richiesta di autopsia pubblica del Che o la richiesta ufficiale di ricomporre il cadavere del guerrigliero in un cimitero, per poterlo onorare. Però, dopo aver fatto sparire il cadavere, il governo boliviano si trova nella difficoltà di provare al resto del mondo che l'uomo deceduto in battaglia sia effettivamente il Che.
Dopo l’ostensione, il maggiore Quintanilla farà tagliare le mani di Guevara, per portare il macabro trofeo ai suoi superiori. Quintanilla è colui che il 9 settembre 1969, a La Paz, guida il gruppo di poliziotti che uccide Inti Peredo. E anche in quell’occasione lo spietato ufficiale della sicurezza boliviana si fa fotografare con il cadavere di Peredo. I due rivoluzionari saranno poi vendicati da Monika Ertl – una giovane bavarese cresciuta in Bolivia, figlia di Hans Ertl, tedesco emigrato compromesso con il nazismo, un cameramen della regista Leni Riefenstahl – che il 1 aprile 1971 riesce ad uccidere Quintanilla, in un attentato nel consolato boliviano in Germania, ad Amburgo.
L’angela vendicatrice spara con una pistola procuratagli da Giangiacomo Feltrinelli attraverso la rete internazionale dell'ultrasinistra. A Vallegrande, Che Guevara viene esposto nella lavanderia dalle pareti azzurre, una sorta di sfondo che sarebbe piaciuto pure a Giotto per rappresentare pittoricamente una scena di compianto. Nessuno gli ha abbassato le palpebre, e in tutte le fotografie e nelle riprese appare con gli occhi aperti. Sarebbe stato un atto di pietà, ma questo gesto il regime boliviano non vuole farlo passare all’opinione pubblica e ai media. E poi il volto del Che deve essere riconosciuto chiaramente per non scatenare ombre di dubbi.
Gli occhi aperti forniscono un dato in più per coloro che devono analizzare le fotografie e le videoriprese in tutto il mondo. Interessa soprattutto che i giornalisti, i fotografi e i cameramen testimonino che l’uomo della Rivoluzione cubana è stato eliminato. Anche la bocca è leggermente aperta e lascia intravvedere i denti, proprio come nei visi di Cristo dipinti da Raffaello e da Lorenzo Lotto nelle scene delle deposizioni, o come nel volto di Gesù sdraiato nel sepolcro realizzato da Holbein il Giovane nel 1521. D’acchito tornano alla mente innumerevoli versioni dei volti e dei corpi di Cristo nei Compianti: i capelli lunghi e la barba, gli occhi e la bocca semiaperti, i piedi scalzi, il petto e le braccia scoperte per mostrare le ferite mortali legano le fotografie scattate il 10 ottobre del 1967 con innumerevoli opere pittoriche e scultoree della tradizione cattolica.
Il collegamento Che Guevara-Cristo è stato fatto anche dalle infermiere di Vallegrande, che vennero chiamate per pulire il corpo dell’eroe argentino prima dell’ostensione pubblica: “Quando ci hanno portato il corpo non sapevamo chi fosse. L’hanno portato fra le 10 e le 11 del mattino. Ci dissero che sarebbe arrivato il Che Guevara. Non sapevamo chi fosse. Lo ricevemmo come qualsiasi altro cadavere. Quello che a noi infermiere e medici impressionò di più fu lo sguardo. Perché sembrava Gesù Cristo, coi capelli lunghi, la barba incolta e gli occhi. Ci spostavamo là, e lui ci seguiva… dall’altra parte… ci seguiva… il suo sguardo ci seguiva ovunque andassimo” (intervista a un’infermiera, tratta dal documentario Le ultime ore del Che, di Romano Scavolini, 2003-2004).
Anche chi non ha studiato la storia dell’arte e non conosce le innumerevoli opere dedicate alla deposizione di Cristo coglie i fili misteriosi che collegano archetipi e immagini a distanza di secoli. Ma ancora prima di Cristo scene di compianti sul corpo di Ettore, di Achille e di altri eroi erano già presenti nell’arte greca e nei sarcofagi romani. Anche le fotografie di Freddy Alborta e di Marc Hutten, con il taglio e le scelte delle inquadrature, testimoniano una parentela iconografica con le scene relative al Cristo morto e ai compianti pagani, con la conseguenza di far scorrere piani diversi di associazioni che sono entrati nell’immaginario collettivo. A Vallegrande, i militari boliviani che si sono fatti fotografare con le armi e con le uniformi attorno al rivoluzionario defunto hanno involontariamente messo in scena un elemento teatrale-liturgico moderno, così che il cadavere sia ben visibile agli abitanti del paese, ai media e agli spettatori in tutto il mondo, per indurre una sorta di agnizione obbligatoria.
L’intento è compiangere il nemico irridendolo ritualmente. Le fotografie rimandano le immagini di un inedito Compianto beffardo degli ufficiali e dei militari sul Che morto. I militari boliviani non sapevano però che gli occhi aperti di Guevara rimandano alla tipologia del Christus triumphans (trionfatore sulla morte), che nel XII e nel XIII secolo è descritto in croce con la testa eretta, con gli occhi spalancati, rivolti ad attirare l’attenzione dei fedeli. L’uomo divino non pare patire il suo martirio, indifferente alla situazione drammatica.
Ha l'apparenza umana, resa con attenzione realistica, ma in realtà simboleggia l’immagine del sacro in sé. Come Gesù, Che Guevara guarda anche da morto, e rivolge il suo sguardo rivoluzionario verso le coscienze del futuro. Post mortem vede la resurrezione del suo mito. Trenta anni dopo la sua morte, nel giugno del 1997, i resti del Che vengono trovati e identificati da specialisti cubani e argentini. Portati a Cuba, sono collocati nel mausoleo di Santa Clara. Ma le mani non sono state più ritrovate.