1930 - 2020 / Franco Loi, San Siro e il derby del ‘45
Ieri pomeriggio è morto Franco Loi, uno dei più grandi poeti del Novecento. È stato la voce della Milano popolare, quel popolo di speranza che iniziava a ricostruire le proprie vite partendo dal nulla, o quasi. Loi era milanista. Negli ultimi tempi, costretto da un progressivo, inesorabile affievolimento della vista a indossare degli occhiali da sole, sfoggiava una spavalda montatura rossonera. L’aveva trovata come regalo in un uovo di Pasqua. Figlio di emigrati – sardo il padre, colornese la madre – Franco Loi rappresenta perfettamente anche l’anima casciavit della città, la Milano operaia che abitava le periferie e guardava con un po’ di sospetto, e di dispetto, alla borghesia benestante del centro, a vocazione prevalentemente interista. Oggi, va da sé, queste distinzioni socio antropologiche sono quasi del tutto scomparse, ma in quegli anni, come ha avuto modo di dichiarare Franco Loi, «si diventava tifosi milanisti per reazione alla spocchia degli interisti».
Franco Loi nei suoi versi ha saputo raccontare anche l’anima tifosa e popolare di un calcio che forse non esiste più. In L’Angel, il suo romanzo in versi (prima San Marco dei Giustiniani, 1981, e poi Mondadori, 1994) descrive il primo derby che si gioca a San Siro dopo la Liberazione. È un incontro valido per il Torneo benefico lombardo, una manifestazione che vedeva coinvolte dodici squadre regionali e che si svolse, nelle condizioni che si possono immaginare, tra la fine di dicembre del 1944 e il luglio del 1945. Si giocò la domenica 17 giugno, davanti a 14.000 spettatori. Vinse il Milan 3 a 1. Il risultato era ininfluente per la classifica generale del torneo, che vide primeggiare il Como, ma la partita ha un significato particolare. Loi nel 1945 aveva quindici anni e racconta di quell’incontro con il fremito incantato di chi si è appena lasciato alle spalle l’obbrobriosa paura della guerra.
L’attacco è da grande epopea calcistica:
Sansir l’era ’n cadin d’erba e culur,
ch’i giugadur pareva ch’je tucavum
tant’eren viv i maj,
bell el balun…
L’Inter l’era quela del Franzosi, cul
Marchi, Passalacqua, Campatell,
e nüm del Milan serum quatter bamba
cul Toppan, l’Antunin, Boffi e Russett…
(San Siro era un catino d’erba e colori, / i giocatori pareva li toccassimo / tant’erano vive le maglie, bello il pallone… / L’Inter era quella di Franzosi, / con Marchi Passalacqua Campitelli, / e noi del Milan eravamo quattro bamba / con Toppan l’Antonini Boffi e Rossetti…)
Loi non lo menziona, ma in quell’Inter è tornato a giocare anche Meazza, che cinque anni prima era passato, con un certo scalpore, dai nerazzurri ai rossoneri. Il Milan è un Milan ancora “cacciavite” e operaio. Non vince un campionato dal 1907, e dovrà aspettare ancora sei anni prima di tornare a primeggiare in serie A. La sua punta di diamante è però Aldo Boffi: arriva da Seregno e ha un tiro che fa tremare i portieri. Però va a giornate: è un’incognita. Come dice Loi “è il quiz della pedata”, perché non sai mai cosa sarà capace di fare. Ma quella, per lui, e per la fortuna dei rossoneri, è una di quelle giornate da incorniciare.
El Boffi l’era el squiss de la pesciada,
e chèl dì lì ghe l’èm d’incurnisàl.
La maja nerazürra tütt’in sciambula
Ch’in mezz al camp i pé eren un roch…
Sul vün a zero sèm giamô a la büsca,
e quan’ che l’entra el Boffi sèm a tocch,
che lü ’l durmiva sü la riga bianca
e inturna recamàven süj brelòcch…
Ma ’riva un bèl balun… Tuca de dester,
e giò ’n sinister che nissün le véd…
Sansir se slarga, dervum i fenester.
(La maglia nerazzurra tutta in festa / ché in mezzo al campo i loro piedi erano un rock… / Sull’uno a zero siamo già alle busche, / e quando entra Boffi siamo a pezzi, / ché lui dormiva sulla riga bianca / e intorno gli ricamavano sui nastrini… / Ma arriva un bel pallone… Tocca di destro, / e giù un sinistro che nessuno vede… / San Siro si fa grande, apriamo le finestre.)
Il Milan è in vantaggio, a sorpresa. Ma quelli dell’Inter, si sa, sono più forti, e fanno sempre un certo effetto. Infatti tornano all’attacco e schiacciano i rossoneri nella loro metà campo. In campo, e fuori, i milanisti trattengono il fiato, abbottonatissimi. La partita è un balletto di gambe e mutande, e i calciatori sembrano essere masticati e poi sputati dal prato verde, in un gioco di colori.
Ma chì a Milan, se sa, l’Inter fa efétt:
el Giorgio schisc, el Berto che ’l baüscia,
el mund par che se ferma: l’è ’n balett
de gamb e de müdand, ché ’l verd je sciscia
e pö je spüa nel giögh fâ de culur:
e l’è amô l’Inter, che là ’n fund ghe schiscia
e nüm ch’a tegnì ’l fiâ sèm un buttun…
(Ma qui a Milano, si sa, l’Inter fa effetto: / il Giorgio quatto, il Berto che fa lo spaccone, / il mondo che sembra fermarsi: è un balletto / di gambe e di mutande, ché il verde li succhia / e poi li sputa nel gioco fatto di colori: / ed è ancora l’Inter, che là in fondo ci schiaccia / e noi che nel trattenere il fiato siamo abbottonati…)
Il tempo pare fermarsi, insieme all’aria dentro al catino di San Siro. In pochi versi, Loi restituisce quegli attimi convulsi e al tempo stesso sospesi che solo una partita di calcio, in uno stadio pieno (fatto ormai straordinario di questi tempi), sa dare. Teste, braccia, voci: il sibilo del pallone nell’aria e tra i calci.
Sèm denter in quj strasc del temp ch’eterna
fann l’umbra che l’è l’ànema del mund
e nüm e i giügadur e quèla scèrna
de cu e de brasc e vus di gradinâd
sèm denter l’aria che ne l’aria ferma
quèll frull de gomma che slisa tra j pesciâd…
(Siamo dentro in quegli stracci del tempo che eterna / fanno l’ombra che è l’anima del mondo / e noi e i giocatori e quella caterva / di teste e di braccia e voci delle gradinate, / siamo dentro l’aria che nell’aria ferma / quel frullo di gomma che scivola tra le pedate…)
Poi arriva il gol di Aldo Boffi, quello del 2-1 ed è un pezzo da campione:
Ma ’l Boffi ’l smarca föra ’na legnada
ch’al bun Franzosi in vul ghe sversa i man.
Se fa piscin el camp, e a scalinada
se slarga el ciel nel vent fâ de bander…
(Ma Boffi tira fuori una legnata / che al buon Franzosi in volo rovescia le mani. / Si fa piccolo il campo, e a scalinata / si allarga il cielo in un vento di bandiere…)
Il finale è l’essenza del sentimento popolare per il football, oltre che un inno alla gioia rossonera e a quel “luogo sacro” che è San Siro:
L’e stâ ’n tri a vün de fa trema i curtil,
’na samba de da föra i sentiment,
un tram che mai fenivum de cantà,
Sansir ch’ai noster spall tegniva el temp,
Milan che pien de strâd l’era un ciamà.
(È stato un tre a uno da far tremare i cortili / una samba da stravolgere i sentimenti, / un tram che mai finivamo di cantare, / San Siro che alle nostre spalle tratteneva il tempo, / Milano che piena di strade era tutta un richiamo.)
La voce e i versi di Franco Loi continueranno a riempire le strade di Milano. E il catino di San Siro.