Sold out a Milano / L’importanza dell’anonimato: Liberato canta Napoli
Galeotta fu una mail anonima a Rolling Stone, mirata a lanciare un cantante esso stesso anonimo. A partire dal 13 febbraio 2017 ogni canzone di Liberato è stato un successo, fino a giungere al live da 20mila persone del 9 maggio 2018 alla Rotonda Diaz di Napoli, replicato il 9 giugno a Milano, sold out nel giro di mezz’ora. Bel risultato per un tizio di cui non sappiamo nulla, che canta persino in dialetto napoletano. Le uniche notizie che alimentano le nostre elucubrazioni – o almeno le mie e quelle di altri come me – derivano dai ringraziamenti posti nei crediti dei video e dalla sua unica intervista esistente, interamente in napoletano, tradotta e scritta in maiuscolo perché è “E’ ‘CCHIU’ BELL’ STILISTICAMENTE, ECAI’?!”. Su Rolling Stone hanno omesso di tradurre (per semplificare) l'ECAI' rafforzativo, che in napoletano significa “hai capito?”, dal valore simile alle question tags dell’inglese e ragion per cui penso che Liberato sia, o voglia apparire, come un esponente del popolo arrivato alla fama dal basso – o da un basso –, visto che lo stile risulta essere coerente con lo stereotipo del napoletano verace, incurante delle apparenza e dell’italiano a tutti i costi.
Liberato rappresenta l'Omero del secondo decennio del Duemila – potrebbe essere uno, nessuno e centomila – e narra le vicende di un popolo, il suo, anche in modo decisamente formulare: se pensiamo al trittico TU T’E SCURDAT’ ‘E ME – JE TE VOGLIO BENE ASSAJE – INTOSTREET, a cui, volendo, si può aggiungere anche 9 MAGGIO, abbiamo dinanzi una narrazione, a modo suo epica, che si ritorce su se stessa per più di un anno, tenendoci attaccati a YouTube per aggiornamenti, come se stessimo seguendo una serie su Netflix. La stessa storia, da due o più punti di vista, confezionata per soddisfare il nostro bisogno endemico di particolari, derivato dall’influenza dei social.
Tutto ciò che sappiamo su Liberato è mito d’oggi, tanto efficace da generare continue congetture e teorie. Il suo nome vale come l’attualità della musica napoletana, caratterizzata da una netta propensione per il dialetto, a cui si mescolano, forme del passato e del presente, italianismi e anglicismi. La lingua di Liberato viene parlata correntemente dai giovani della città, rispecchia il loro slang spiccatamente glocale, con l’aggiunta di una sapiente costruzione fonico-ritmica dei brani, con tanto di effetti sonori à la Whatsapp, in modo da rimanere impressi ai primi ascolti, soprattutto grazie alla loro formularità, sia della forma che del contenuto. I topoi delle canzoni di Liberato sono ricorrenti – l’amore tragico, la rivalsa sociale, la relazione con la città – e si intersecano trasversalmente mediante la ripetizione di alcune espressioni idiomatiche in napoletano, spesso tratte dalle grandi canzoni del passato come “te voglio bene assaje”, titolo di un brano del 1839, e incipit dell’iconico ritornello tratto da Caruso di Lucio Dalla; oppure dallo slang popolare, come nel caso di “stongo tutt' I love you” (sono in estasi), “stong' arrefunnenno malamente” (ci sto rimettendo molto), “m'arrevuot' 'o core” (mi sconvolgi il cuore), espressioni potentissime tratte dalla canzone pervasa da temi LGBT ME STAJE APPENNENN' AMO' (Mi stai lasciando, amore).
Liberato ha sicuramente “arrevutato” il panorama musicale nazionale, e lo deve anche alle invarianti linguistiche e narrative, che dimostrano la sua propensione per l’intertestualità e il citazionismo: in 9 MAGGIO troviamo riferimenti a Totò, a Mario Trevi e alla Tammurriata nera del 1944 (“so' rimasto sott' 'a botta, 'mpressiunato”, sono rimasto di stucco), mentre in INTOSTREET compare il classico motivo della passione amorosa come catena, presente in Caruso di Dalla, a sua volta omaggio a Dicitencello vuje del 1930, brano citato pure in JE TE VOGLIO BENE ASSAJE, quando il protagonista afferma di avere perso “'o suonno e 'a fantasia” a causa della mancanza dell’amata. INTOSTREET e JE TE VOGLIO BENE ASSAJE sono accomunati proprio dalla catena, riportata in forma di simbolo dell’infinito sulle rispettive copertine dei singoli, una azzurra e l’altra rosa, a indicare, in maniera molto semplice, che la storia narrata nei due brani è la stessa, muta solo il punto di vista, nel primo caso maschile e nel secondo femminile, elementi rimarcati con forza nei video diretti da Francesco Lettieri.
Quindi Liberato è l’evoluzione naturale di una tradizione musicale radicata e raffinata? Sicuramente, continuando con le suggestioni classiche, possiamo definirlo un rapsodo, un sarto di canti, che cuce insieme pezzi di presente e passato, cantando, ma al contempo interpretando e recitando, il sentire di una civiltà, di un popolo, di una città inventando con arte le storie più adatte per esaltare e rappresentare il genius loci. Proprio come i rapsodi, Liberato è capace di carpire la massa degli ascoltatori con motivetti accattivanti, penetrando la barriera dei loro pregiudizi.
Come mi ha suggerito l’amico Gabriele Marino, autore di The (un)masked bard: Burial’s denied profile and the memory of English underground music, se Liberato è il rapsodo di Napoli, può essere paragonato al musicista inglese Burial, bardo di una Londra che esplicita la sua presenza totemica nella gran parte dei suoi brani, la cui identità è stata segreta dal 2004 al 2008, prima svelata dall’Independent e poi da lui stesso su MySpace. Burial e Liberato proseguono la tradizione dell’era classica dei rave, durante cui i dee-jays techno si mostravano al pubblico mascherati o circondandosi di multipli, proprio come fa il cantante napoletano ai suoi live, dove indossa cappuccio e bandana sul volto o si fa accompagnare da sosia, da persone vestite allo stesso modo, spesso anche titolate come nel caso di Calcutta al MI AMI Festival 2017.
Burial è stato più volte avvicinato alla stampa a Banksy, il più prolifico e dibattuto street artist dei nostri tempi, felicemente anonimo – almeno a quanto pare – per tre ordini di motivi: evitare la persecuzione giudiziaria, amplificare la notorietà, nascondere un passato oscuro.
Ragioni comprensibili, ma possiamo aggiungerne un’altra, suggerita dallo stesso Burial, ossia per fare musica in tranquillità, proprio come conferma lo stesso Liberato nell’intervista – anonima – via e-mail, perché chi ama comporre vuole evitare le “tarantelle” social e i bagni di folla, tanto da esporsi a una reale caccia all’uomo della stampa.
Insomma, l’anonimato va a braccetto con il mercato, ce lo dimostra persino la letteratura con casi celebri tra cui B. Traven, JT Leroy, o ancora la napoletanissima e votata al segreto Elena Ferrante, convinta sostenitrice dell’autosufficienza delle storie, capaci di sopravvivere senza i loro autori.
Forse Liberato, il cantante o il collettivo, crede che le canzoni siano di Napoli, del suo popolo e di chi le incarna, e si annulla per donarle, favorendo la completa identificazione, che supera le barriere regionali e dialettali. L’intro di ME STAJE APPENNENN' AMO' segue il flusso di coscienza di Rosa Rubino, transessuale napoletana, che in conclusione afferma: «Non volevo nascondermi perché poi... a che cosa serviva? Perché mi devo nascondere? Voglio essere una persona libera».
Una persona libera, liberata dagli stereotipi, che si nasconde per esporsi a un pubblico sempre più vasto, probabilmente irraggiungibile a volto scoperto. Nell’anonimato di Liberato si potrebbe vedere anche un riferimento alla cultura della tifoseria organizzata, di cui è permeata la sua estetica, basta pensare al suo nome ricamato su bomber e scarpe – rigorosamente powered by Converse, come gli eventi dal vivo – il cui font si chiama, appunto, ultras liberi, caratterizzato dall’impostazione geometrica, e derivante dalla tipografia vernacolare. Le sneakers Converse sono da tempo molto popolari tra gli ultras della curva A del San Paolo, fanno parte di uno streetwear irreggimentato, accompagnato dal bomber nero, dalla felpa con il cappuccio, dal cappello da baseball con la visiera e dalla bandana per nascondere il volto, tratti caratterizzanti di uno stile votato a una “ribellione”, a un modo di immolarsi “per la maglia, per la città”, come mostrano i graffiti disseminati nei video di Liberato.
Certo, è sicuramente una visione romantica del tifo ultras, la cui controparte “markettara” sta nell’ostensione dei logo (Liberato e il suo team devono pur mangiare), ma penso sia quella che Liberato voglia affermare, per smarcare un po’ Napoli dalla negatività di Gomorra, esaltando l’attaccamento alla città espresso attraverso la fede calcistica. Un discorso simile viene portato avanti in GAIOLA PORTA FORTUNA, il cui titolo è volto a sovvertire le dicerie sull’isolotto ai piedi di Posillipo, derivanti dalle sciagure famigliari che hanno colpito i suoi illustri proprietari, tra cui si annoverano Gianni Agnelli e Jean Paul Getty. Il video della canzone sopracitata è ambientato a Castel Volturno, set di Gomorra in teoria e in pratica, dove risiede una nutritissima comunità africana vessata da droga, criminalità e sfruttamento, ma che in GAIOLA PORTA FORTUNA viene rappresentata tramite la bellezza delle sue donne, intente a prepararsi per una festa, unite nella miseria e nella passione per la danza, facendo da sfondo a una storia d’amore finita male.
La Napoli della camorra convive con quella romantica, costituendo due facce di uno stesso foglio, quello su cui si scrive la visione creativa di Liberato, che scorre nelle varie anse della categoria semantica della veridizione in quanto è e sembra al contempo, personificando un vero cantante; d’altronde, il suo essere e non sembrare Liberato ci conduce al topic del segreto, opposto a quello della menzogna nel caso sembrasse e non fosse un singolo individuo bensì un collettivo, o addirittura una donna, dato che la voce incisa è sicuramente frutto di Auto-tune ed effetti vari.
In un commento al video ME STAJE APPENNENN' AMÒ, l’utente Alex Cavaliere scrive: “Vi dirò, più del Liberato della musica, io sono estremamente affascinato dal Liberato delle immagini. Ogni clip è una messa in scena della Napoli attuale [...]” (20 gennaio 2018). Il Liberato delle immagini è potentissimo, e sa di esserlo, e lo comprova il suo profilo Tumblr, luogo di affissione delle passioni innalzato a tempio dei numi tutelari e delle muse ispiratrici, per materia, forma e canto più bello.
Liberato è denso, densissimo di napoletanità. Raccoglie, riformula e riscrive tutte le figure totemiche che hanno contribuito e contribuiscono a tenere ben salda l'identità di una Napoli verace, misterica, radicata nei vicoli, negli scogli e nei fili d'erba del San Paolo. Liberato canta Napoli come hanno fatto Totò, Mario Trevi, Roberto Murolo, Mario Merola, Nino D’Angelo, esalta gli stessi luoghi, come Marechiaro di Salvatore Di Giacomo, rendendo allo stesso tempo iconici quelli frequentati dagli scugnizzi e dai chiattilli, dai ragazzi dei Quartieri e da quelli di Posillipo, diversi per estrazione sociale e modo di vestire, ma accomunati dalla città, dall'amore per una squadra, dalla vita in riva al mare, e magari dalla weed, l'erba, co-protagonista della maggior parte dei video di Liberato perché aggregatore sociale e interprete di ogni sorta di stato d'animo, dal cuore spezzato alla goliardia.
L'immaginario a cui si ispira è frastagliato come le onde del golfo di Napoli, e su Tumblr troviamo suggestioni da adolescente degli anni Novanta come l'immagine di copertina delle cassette “Mixed by Erry”, un vero cult per i ragazzini napoletani che compravano musica pirata in strada, e poi, ancora, una più rassicurante Sofia Loren, la latta di metallo del caffè Passalacqua, quella regalato dalle signore del popolo nelle grandi occasioni, il cornetto, l'Ape cosparsa di simboli scaramantici, San Gennaro in processione con alle spalle, scritta su un muro, la citazione “curre curre guagliò”, dall’omonimo brano dei 99 Posse, Massimo Troisi, la Madonna, Gesù, un quadro della festa di Piedigrotta, storico festival della canzone napoletana, alternate con passioni a stelle e strisce come Childish Gambino, Jay-Z e Beyoncé, procaci mulatte che twerkano o fumano dal bong, e poi via con le canne accese, spente, rollate, fumate e, addirittura, in posa di fronte al mare.
Troviamo anche arte e critica sociale, entrambe racchiuse nella bella fotografia della biblioteca statale oratoriana annessa al Monumento nazionale dei Girolamini, famosa per la collezione musicale, filosofica e teologica, immagine di una Napoli nascosta, raffinata, inaccessibile, ma anche di quella messa in ginocchio dalla corruzione ad alte sfere, basta pensare al caso del traffico sommerso di libri di gran valore, venduti all'estero e in Italia, come confermano le indagini su Marcello Dell'Utri e Massimo De Caro, l'ex-direttore della biblioteca, ora condannato in via definitiva.
E poi c'è lei, la protagonista di tutti i singoli, cioè la rosa, declinata in mille versioni: fresca, essiccata, fatta di weed, tatuata, votiva, gioiello in un rosario pop, dove trova spazio anche un coltello a serramanico.
La rosa è il fiore mariano per eccellenza, del mese di maggio, ma anche figurativizzazione del segreto, come prova la locuzione latina sub rosa (dicta velata est), o quelle a cinque petali intagliate nel legno dei confessionali. Rosa misterica, rosa segreta, vincolata alla religione, e simbolo del sincretismo di Liberato, diviso tra cultura ultras, folklorica, e musicale, se pensiamo all’estetica del musicista losangelino Shlohmo, che condivide con il cantante napoletano l’intero pacchetto di identità visiva (rose, font, cromie dominanti).
Liberato è intertestualità pura, arriva quasi sfilacciarsi lui stesso in tutte le citazioni che puntualmente tutti noi ci affanniamo a ricostruire, cercando di carpirne l’identità, ma la risposta è sempre la stessa, poiché così facendo Liberato non fa altro che incarnare la composizione morfologica, sociale e culturale della stessa Napoli, divisa tra alto e basso, ricchezza e povertà, acqua e fuoco, camorra e rara bontà d’animo.
Il Liberato delle immagini, quello diretto da Lettieri, traccia una sorta di percorso di scoperta della città, proponendosi come guida, turistica e spirituale, in quanto crasi di indicatore e astante, vale a dire colui che a volte mostra al pubblico cosa guardare, accompagnandolo sui luoghi della narrazione, mentre altre partecipa patemicamente agli accadimenti.
La retorica delle passioni di Liberato, la stessa propugnata da Aristotele e Roland Barthes, ha come fine ultimo la sanzione di Napoli come paesaggio letterario, poetico, musicale, col fine di entrare prepotentemente nei discorsi e nell’immaginario delle persone. Tutti i brani di Liberato scaturiscono da Napoli e le sue vedute, i suoi luoghi, maestosi o degradati, fungono da catalizzatori di passioni, assumono le fattezze dell’amata/o, generano l’atto creativo che si propone in qualità di contenuto universale, trasversale a qualsiasi cultura perché regolato dall’emozione estetica.
E così l’amore e la nostalgia riecheggiano insieme alla critica sociale, in un intreccio di storie narrate da Liberato che passeggia per la città incontrando i suoi personaggi in cerca d’autore, scovati tra le architetture complesse di una Napoli metropoli del sud, in una stazione della metro da record mondiale, oppure nei cortili dove volteggiano leggiadri mulinelli di munnezza, alle falde del Vesuvio, o ai piedi di una fontana – quella del Sebeto – monumento abbacinante di un passato da regina.
Note
Chi fosse interessato ad approfondire la figura di Burial, può fare riferimento al bel testo di Gabriele Marino contenuto nel volume Mad Dogs and Englishness. Popular Music and English Identities (Bloomsbury 2017).